
Ecco le alternative per combattere l'emergenza ambientale
Negli ultimi mesi le nostre abitudini sono drasticamente cambiate con l’arrivo del Covid-19, un’emergenza sanitaria che ha introdotto nella nostra vita le mascherine come dispositivi fondamentali per difenderci dal virus. Queste misure, usa e getta, potrebbero essere letali per l’ambiente. Ma le nostre azioni e l’utilizzo di alternative al monouso possono contribuire a contenere questa ulteriore emergenza.
Per affrontare l’emergenza Covid-19 degli ultimi mesi le mascherine sono diventate misure necessarie per limitare e contenere il contagio. Il problema dell’uso massiccio dei DPI (dispositivi protettivi individuali) usa e getta e il loro smaltimento non corretto stanno però, dall’altro lato, aggravando un’altra emergenza, ovvero quella ambientale.
ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha stimato, all’inizio di maggio scorso, una produzione complessiva di rifiuti a fine 2020 compresa tra 160mila e 440mila tonnellate, con un valore medio di 300 mila tonnellate: sono i numeri allarmanti di questo inquinamento da pandemia che compromette una situazione già grave per i nostri oceani.
Secondo il programma ambientale delle Nazioni Unite, ogni anno 13 milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare. Il Mediterraneo da solo riceve 570.000 tonnellate di plastica ogni anno: è come se gettassimo in mare 33.800 bottiglie di plastica ogni minuto.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, se anche solo l’1% delle mascherine venisse smaltito non correttamente e magari disperso in natura, questo si tradurrebbe in ben 10 milioni di mascherine al mese disperse nell’ambiente. Le acque intorno ad Hong Kong, una delle prime nazioni a prendere misure preventive contro la pandemia, sono intensamente inquinate. Secondo i dati di Ocean Asia, nelle acque di fronte l’isola di Lantau, sono state trovate 70 mascherine su un’area lunga appena 100 metri, con un’altra trentina di maschere sulla spiaggia.
Circa il 75% delle mascherine utilizzate, insieme ad altri rifiuti legati alla pandemia, potrebbe finire nelle discariche o galleggiare nei mari. Oltre al danno ambientale, il costo finanziario, in ambiti come il turismo e la pesca, è stimato dall’Unep (United Nations environment programme in circa 40 miliardi di dollari. L’Unep ha avvertito che se l’impennata dei rifiuti sanitari non viene gestita in modo corretto si potrebbero verificare discariche incontrollate.
Pamela Coke-Hamilton, direttrice del commercio internazionale dell’Unctad, ricorda che “l’inquinamento da plastica era già una delle maggiori minacce per il nostro pianeta prima dell’epidemia di coronavirus. L’aumento dell’uso quotidiano di determinati prodotti per garantire la sicurezza delle persone e per fermare la malattia peggiora le cose”.
“Mascherine e guanti monouso sono diventati un problema per l’ambiente, in Italia e nel resto del mondo. Oggi è il momento di agire per difendere la natura e il nostro pianeta dall’inquinamento. Non possiamo stare a guardare”. Queste le parole del ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, per il lancio della campagna social “Alla natura non serve”, del Ministero dell’Ambiente, in collaborazione con la Guardia Costiera, Ispra, Iss, Enea e la Commissione Colao, per il corretto smaltimento delle mascherine e dei guanti monouso, segnata dall’hashtag #BUTTALIBENE.
Sono tre i pilastri su cui si fonda la campagna:
Testimonial della campagna e protagonista dello spot video, realizzato dal ministero insieme con la Guardia Costiera, è l’attore Enrico Brignano: “Ricordati: mascherine e guanti vanno nell’indifferenziata. Oh, lo faccio anche io, eh!”.
Enrico Brignano, attore e testimonial campagna “Alla natura non serve”
Il concept muove da una delle foto simbolo della pandemia: un uccellino trovato intrappolato in una mascherina, che ovviamente agli animali non serve, così come non serve alle strade, alla natura, ai mari.
Campagna social Ministero dell’Ambiente
Un messaggio per tutti, soprattutto per chi abbandona questi rifiuti, forse inconsapevole del danno ambientale che sta causando.
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Dagli Usa test di laboratorio, effettuati dall’azienda Smart Air, hanno stabilito quali sono i materiali migliori per la produzione delle mascherine fai da te, riutilizzabili e lavabili. Ecco alcuni risultati dei test pubblicati sul New York Times:
Tante altre realtà, operanti nel comparto tessile e non solo, si sono attivate per fornire questi presidi sanitari.
Amarinos 1950 è una mascherina ecologica, trasparente e autopulente quando esposta ai raggi UV, lanciata da un imprenditore veronese, Angiolino Marangoni. E’ riutilizzabile perché realizzata con materiale per alimenti, quindi può essere lavata con acqua e sapone. Essendo trasparente permette il riconoscimento facciale immediato ed è stata pensata anche per le persone affette da sordomutismo.
Mascherina ecologica Amarinos 1950
Maeko, un’azienda specializzata nella produzione di filati e tessuti naturali, ha realizzato invece delle mascherine fatte in canapa, lavabili, impermeabili, protettive. Le mascherine in fibra di canapa hanno un effetto naturalmente antibatterico. Questo vuol dire nessun trattamento ulteriore e un segno di sostenibilità 100%.
Mascherine in canapa Maeko
Un’altra azienda artigiana di mobili e divani, D3CO, di Lentate sul Seveso, in provincia di Monza e della Brianza, ha voluto contribuire all’emergenza sanitaria producendo mascherine in cotone naturale, lavabili e quindi riutilizzabili ma soprattutto biodegradabili.
Mascherine biodegradabili D3CO
Se una volta sconfitta questa emergenza sanitaria non vogliamo trovarci a dover fare i conti con l’emergenza ambientale, tutt’ora presente e già grave, allora è il momento di pensare a delle alternative sostenibili.
Immagine in evidenza: credit @theguardian
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