Continente di plastica nel Pacifico: il segreto dell’isola che c’è!

Alex Bellini: Siamo tutti in un mare di guai (di plastica).

Un mare di plastica…

 

L’essere umano dalla fine dell’800 ad oggi ha cavalcato molte rivoluzioni tecnologiche, sociali e culturali, che hanno mutato il suo modo di interagire, produrre, vivere. C’è qualcosa però, che negli ultimi 60 anni, non lo ha mai abbandonato, compagna di viaggio verso il “progresso”[1]: la plastica.

 

Plastica, mon amour?

 

Questo materiale duttile e poco costoso è entrato in sordina nella nostra vita e adesso è dappertutto nella nostra routine. Abbiamo fame? Apriamo un pacco di pasta (plastica); Abbiamo sete? Beviamo una fresca bottiglia (plastica) di acqua; abbiamo freddo? Compriamo un bel giaccone sintetico (plastica). Ci si potrebbero riempire pagine intere di esempi come questi. Senza parlare di imballaggi che a loro volto contengono accessori… di plastica.
Insomma, che la plastica sia dappertutto non è un segreto.
Quello che per la maggior parte delle persone rimane segreto è: dove va a finire la plastica che utilizziamo ogni giorno?

Un mare di numeri…

Dal 1950 ad oggi sono state prodotte 8 miliardi di tonnellate di plastica, il 90% non è mai stato riciclato e si disperde nell’ ambiente, o in discarica, o nei fiumi e da lì arriva agli Oceani.
Alla fine del 1980 venne scoperto nell’ Oceano Pacifico un enorme accumulo di plastica, il Great Pacific Garbage Patch, dalle dimensioni stimate comprese tra i 700 mila e i 10 milioni di chilometri quadrati, l’equivalente della penisola iberica o degli Usa, a seconda che si consideri il minimo o il massimo della stima. Troppo in ogni caso.
Il Great Pacific Garbage Patch è un’aggregazione di plastica, che si è formata negli anni grazie all’ opera delle correnti oceaniche che hanno convogliato, al centro dei vortici oceanici, i rifiuti provenienti dai fiumi.
Si stima che il 90% dei rifiuti presenti in mare provenga da 10 fiumi: Yangtze, Xi e Huanpu  (Cina), Gange  (India), Oyono  (Nigeria), Brantas e Solo (Indonesia), Rio delle Amazzoni (Brasile), Pasig (Filippine) e Irrawaddy (Birmania).
Di queste isole, attualmente, se ne contano altre quattro, cinque se si considera l’isola in formazione nel mare di Barents, alle porte dell’Artico, a minacciare i ghiacciai.
Che la situazione sia molto grave, lo dimostra anche l’allarme lanciato dal World economic Forum: “se si continua a questo ritmo, la plastica presente nei mari nel 2050 potrebbe raggiungere cinque volte il peso di tutte le creature marine esistenti.”

Smuovere coscienze plastificate

 

Dunque, siamo di fronte ad una situazione critica, che però non sembra preoccuparci abbastanza. È difficile smuovere le coscienze di quanti, lontani dagli Oceani, vivono una vita frenetica e indaffarata.
Alla fine di febbraio di quest’anno, il quarantenne esploratore ed avventuriero Alex Bellini, noto per le sue imprese (per esempio la traversata dell’oceano Pacifico in barca a remi, in solitaria e in totale autonomia, oppure per la sua maratona di 600 km, corsa trainando una slitta in Alaska), partirà da un villaggio indiano sulle rive del Gange verso la sua nuova e mirabolante impresa: 10 fiumi 1 Oceano.
L’esploratore, a bordo di una zattera, costruita con materiali riciclati, inizierà la spedizione dal fiume Gange e, successivamente, discenderà, insieme alla plastica, i 10 fiumi più inquinati del mondo, arrivando fino alla gigantesca isola di plastica: il Great Pacific Garbage Patch.
Il suo viaggio durerà fino al 2022.Porterà Alex Bellini fin dentro alla più grande isola di plastica del mondo, la stessa nella quale si era imbattuto durante la traversata in barca a remi.
E’ ancora una volta un’impresa estrema che questa volta ha come obiettivo quello di sensibilizzare le popolazioni mondiali, coinvolgendo sia l’umile contadino indiano, sia il top manager milanese; pressando sia i governi del mondo. Un’impresa questa di Alex Bellini che punta a cambiare le coscienze e le pratiche.

 

Non solo ambientalismo…

 

L’inquinamento degli oceani non è solo un vezzo ambientalista. È  una questione cruciale per la salute umana. Infatti, la plastica che galleggia in superficie, nel tempo, si foto-degrada scomponendosi in micro-particelle, in micro plastiche (inferiori ai 2 micron di spessore) che arrivano a mischiarsi con lo zooplancton, alla base della catena alimentare delle creature marine. È chiaro, dunque, che la plastica che non differenziamo e finisce nei fiumi, ritorna sulle nostre tavole.

Cosa fare?

 

Esistono soluzioni per cercare di ripulire gli oceani dalla plastica, molti governi hanno cominciato ad adottare misure per limitarne l’uso, dichiarando guerra alle monoporzioni o agli involucri. Altri hanno investito risorse per la ricerca di soluzioni per la pulizia degli oceani, altri ancora vorrebbero gestire meglio le acque fluviali. Si stima che razionalizzando la gestione dei corsi di acqua dolce si possa diminuire del 50% l’inquinamento degli oceani.

Tra gli Stati più attivi nella guerra alla plastica c’è l’Italia che, con un emendamento della finanziaria del 2017, ha bandito i sacchetti di plastica non biodegradabili, dal 1° Gennaio 2019 ha proibito la vendita dei cotton fioc non biodegradabili e dal 1° Gennaio 2020 vieterà la vendita di  prodotti cosmetici “da risciacquo ad azione esfoliante o detergente” contenenti micro plastiche.
Per uniformare i regolamenti nazionali l’UE ha elaborato una bozza di direttiva per bandire dieci prodotti di plastica monouso. Questo provvedimento potrebbe ridurre di 22 mld di euro le spese per i danni ambientali.
La plastica non è solo un problema di economia e di governance politica, ma anche e soprattutto di comportamenti.
Alex Bellini ha pubblicamente dichiarato, per esempio, che, ormai “si rifiuta di bere acqua dalle bottiglie di plastica, o di bere il caffè dai bicchierini”.[2]
Insomma, per cercare di affrontare il problema della plastica negli oceani, bisognerebbe rispolverare le 4 r: Ridurre, Recuperare, Riusare, Riciclare.

 

 

In copertina il Great Pacific Garbage Patch, l’isola di plastica nel Pacifico. Photo credit: oceansentry.org

 

 

Pasquale Pagano

®Eco_Design WebMagazine

 

 

[1] La nozione di « progresso » è molto diversa a seconda dell’epoca considerata. Se oggi è positivamente connotata, ai tempi di Leopardi (metà 800) si parlava del progresso come di un fenomeno negativo (il progresso di una malattia, in particolare).

[2] https://www.youtube.com/watch?v=G4iqNlWUItM min 2.20

 

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