2 Ottobre 2018 6 min di lettura
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Il sistema economico attuale, detto “lineare”, prevede che i beni abbiano un ciclo vitale ben definito che dalla produzione passa al consumo per giungere infine allo smaltimento. A lungo andare, questo modello risulterà – e già risulta – non più sostenibile per le risorse (la cui richiesta, dato il continuo aumentare demografico, è sempre maggiore) e l’ambiente. Quando i materiali utilizzati per produrre beni di consumo sono stati completamente sfruttati, essi diventano rifiuti e vengono smaltiti.
Con l’espressione economia circolare si intende invece un modello economico basato sul rinnovamento, la rigenerazione, il riciclo dei materiali e dei prodotti esistenti: dunque quelli che nell’economia lineare sono considerati rifiuti, diventano qui ulteriori risorse.
La produzione di rifiuti è ridotta al minimo e gli scarti di produzione vedono un nuovo utilizzo: gli scarti biologici tornano a far parte dell’ambiente naturale, mentre quelli sintetici vengono impiegati per la produzione di altri beni. Siamo di fronte a un sistema in grado di autorigenerarsi e in cui le materie sono continuamente riciclate.
Il prodotto ultimo ha una durata più lunga rispetto a quella attuale ed è composto da componenti pronti al riuso e al riciclo.
Si capisce facilmente che un sistema economico di questo tipo va di pari passo con il concetto di “green economy” perché si dovrebbe pensare allo sfruttamento di risorse energetiche con un impatto ambientale minimo.
Diversi sono i vantaggi che possono derivare dal modello economico circolare. Grazie al riciclaggio, per esempio, si ridurrebbe il consumo di materie prime, di cui l’Europa non dispone a sufficienza. determinando sia una minore dipendenza dei Paesi dall’importazione, sia un minore impatto ambientale e climatico, con la diminuzione dei rifiuti terrestri e marini e la limitazione del surriscaldamento globale come previsto dall’accordo di Parigi sul clima del 2015.
Ridurre il consumo di materie prime comporterebbe ovviamente la chiusura di alcune linee produttive e di servizi, ma allo stesso tempo permetterebbe l’apertura di nuovi settori legati al lavoro umano (si pensi, per esempio, alla riparazione e manutenzione dei beni). Secondo la Commissione europea, nel solo settore della gestione dei rifiuti si potrebbe arrivare alla creazione di 178.000 nuovi posti di lavoro diretti entro il 2030.
L’economia circolare si struttura su cinque pilastri:
• la massimizzazione dell’utilizzo di materie ed energie rinnovabili o, laddove non sia possibile, di risorse provenienti da riuso e riciclo (input sostenibili);
• business che si basano su eco-design, progettazione modulare dei prodotti e ricorso a
una manutenzione mirata a estenderne la vita utile (estensione della vita utile del prodotto);
• l’utilizzo di piattaforme, per lo più digitali, per condividere la gestione dei prodotti tra più utilizzatori al fine di ridurre il numero di beni richiesti (sharing);
• soluzioni di business in cui il cliente compra il servizio associato a un certo prodotto, ma non il prodotto stesso (prodotto come servizio; il classico esempio è rappresentato dal car-sharing, ovvero “condivisione dell’automobile”; le ricerche mostrano che un’automobile di proprietà viene utilizzata per circa il 4-5% del suo tempo-vita, mentre nel caso di automobili condivise con appositi servizi, la percentuale di utilizzo supera il 45% del tempo-vita).
• la minimizzazione dello spreco di materiali giunti a fine vita mediante l’adozione di un approccio finalizzato a riuso/rigenerazione/riciclo (valorizzazione del fine vita).
Il dibattito europeo sull’economia circolare ha preso avvio nel 2011, con la costituzione della piattaforma multisettoriale EREP (European Resource Efficiency Platform), nata con l’obiettivo di diventare una guida per la Commissione europea e gli attori privati per la definizione di azioni comuni e la mobilitazione di finanziamenti pubblici e privati volti a promuovere modelli di business eco-efficiente affiancati da scelte eco-sostenibili da parte dei consumatori.
Le aree di intervento su cui si concentra EREP sono:
• energia
• trasporti
• innovazione ambientale
• cambiamenti climatici
• ricerca.
Lo scopo della piattaforma è quello di fornire indicazioni al più alto livello sulle misure politiche necessarie a orientare l’economia dei Paesi europei su modelli di crescita maggiormente sostenibili.
Nel settembre 2014, la Commissione Europea aveva elaborato un pacchetto di misure con l’obiettivo di ridurre la produzione di rifiuti e di promuovere il passaggio da un’economia di tipo lineare a quella circolare. Tali misure erano contenute nella Comunicazione “Verso un’economia circolare: programma per un’Europa a zero rifiuti”, accompagnata dalla proposta di modifica di alcune direttive in materia di rifiuti. Quest’ultima prevedeva il riciclo del 70% dei rifiuti urbani e dell’80% dei rifiuti di imballaggio entro il 2030, oltre al divieto di trasferire in discarica i rifiuti riciclabili a partire dal 2025.
Dato che alcuni Stati membri avevano avanzato diverse perplessità riguardo alla proposta, la Commissione Juncker la ritirò, annunciando però di volerla sostituire entro la fine del 2015 con un’altra relativa alle stesse problematiche.
Nel dicembre 2015 la Commissione presentò il nuovo pacchetto sull’economia circolare, composto da proposte che andavano dalla progettazione dei prodotti fino al loro consumo. Relativamente alla progettazione, si spiega che “se ben progettati, i prodotti possono durare più a lungo o essere più facili da riparare, rimettere a nuovo o rigenerare; il loro smontaggio è più semplice e le imprese di riciclaggio possono così recuperare materie e componenti di valore; in generale, dalla progettazione dipende il risparmio di risorse preziose”. Dato però che “gli interessi dei produttori, degli utilizzatori e delle imprese di riciclaggio non coincidono” risulta “indispensabile offrire incentivi, preservando nel contempo il mercato unico e la concorrenza e favorendo l’innovazione”.
Inoltre, si sottolinea il ruolo fondamentale dei consumatori nel processo di transizione a un’economia di tipo circolare e il fatto che le loro scelte “sono determinate dalle informazioni a cui i consumatori hanno accesso, dalla gamma e dai prezzi dei prodotti sul mercato, come pure dal quadro normativo”.
Il 18 dicembre 2017 è stato raggiunto un accordo provvisorio su quattro proposte della Commissione relative alla gestione dei rifiuti. Il Parlamento europeo ha approvato l’accordo nella seduta plenaria dell’aprile 2018, mentre nel maggio gli Stati membri hanno approvato una serie di misure per adeguare la legislazione dell’Unione Europea sui rifiuti alle future sfide richieste dal sistema economico circolare.
Le nuove norme impongono agli Stati membri l’adozione di misure che diano priorità al riutilizzo e al riciclaggio dei materiali, rispetto allo smaltimento in discarica e all’incenerimento (entro il 2035 i rifiuti urbani smaltiti in discarica dovranno costituire al massimo il 10% del totale dei rifiuti urbani prodotti).
Il pacchetto prevede che entro il 2025 si ricicli il 55% dei rifiuti urbani; la percentuale è stimata al 60% entro il 2030 e al 65% entro il 2035.
Per quanto riguarda i rifiuti di imballaggio, invece, si prevede un riciclo del 65% entro il 2025 e del 70% entro il 2030.
Le nuove norme ampliano inoltre l’obbligo esistente di differenziare carta e cartone, vetro, metalli e plastica, così da migliorare la qualità delle materie prime secondarie diffondendone l’uso: entro il 2022 si dovranno raccogliere separatamente i rifiuti domestici pericolosi, entro il 2023 i rifiuti organici ed entro il 2025 quelli tessili.
®Eco_Design WebMagazine
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