In Europa e in Italia: che aria respiriamo?

In Europa, le emissioni di numerosi inquinanti sono sensibilmente diminuite negli ultimi anni, migliorando la qualità dell’aria sul continente. Ciononostante, le concentrazioni di inquinanti atmosferici rimangono troppo elevate ed i problemi relativi alla qualità dell’aria persistono.

Una proporzione importante delle popolazioni europee vive, nelle città soprattutto, in zone in cui vengono riscontrati livelli superiori di inquinamento rispetto agli standard massimi prescritti dalle normative in vigore : l’ozono, il diossido d’azoto e le particelle di materia (PM) vengono identificati come gli elementi più significativi e più pericolosi per la salute.

Esistono normative per misurare, controllare e ridurre le emissioni pericolose nell’aria

Sin dal 2008 l’UE ha legiferato in materia di qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa (direttiva 2008/50/CE); questa normativa impone agli Stati membri di limitare l’esposizione dei cittadini a questo tipo di particolato e stabilisce valori limite per l’esposizione riguardanti sia la concentrazione annua (40 μg/m3), che quella giornaliera (50 μg/m3), da non superare più di 35 volte per anno civile.
L’Europa ha inoltre promosso, a fine novembre scorso, un nuovo Indice Europeo della Qualità dell’Aria, costituito da una mappa interattiva che mostra la situazione della qualità dell’aria locale a livello della stazione, sulla base di cinque inquinanti chiave che nuocciono alla salute delle persone e all’ambiente: il particolato (PM2.5 e PM10), l’ozono troposferico (O3), il diossido di azoto (NO2) e il diossido di zolfo (SO2). L’Italia però non vi appare aggiornata.
In Italia, il DL 155/2013 ha accolto le indicazioni europee (2008/50/CE del parlamento e del Consiglio dell’Unione). Il testo prevede “obiettivi di qualità dell’aria ambiente al fine di evitare, prevenire o ridurre effetti nocivi per la salute umana”. Successivamente, il decreto 250 del 24/12/2012 è venuto a completare l’assetto normativo; senza alterare la disciplina sostanziale del primo decreto, ha però superato alcune criticità, assicurando un migliore raccordo fra le Regioni, le Province autonome e il Ministero dell’ambiente.

I dati specifici che interessano l’Italia nel 2017 sono però contradditori

I dati che riguardano l’Italia in materia di inquinamento atmosferico sono contradditori.
Da una parte, il nostro paese ha già superato (dati Eurostat pubblicati a marzo 2017 ) gli obiettivi fissati per il 2020 nella produzione di energia da fonti rinnovabili: a fine 2016, il 17.6% della produzione energetica nazionale era assicurata da fonti rinnovabili (mentre Bruxelles fissava la quota del 17% da raggiungere entro il 2020). L’analisi di questi dati evidenzia che l’elettricità prodotta è stata più green grazie al forte calo del carbone (-21%) mentre i consumi sono rimasti stabili.
Tuttavia, emergono anche elementi di preoccupazione, come il rallentamento della crescita delle rinnovabili o il peggioramento delle prospettive di decarbonizzazione post 2020 : se, nel 2016, le emissioni di CO2 sono tornate a diminuire (-0,8%), gli obiettivi del 2030 potrebbero essere più difficili da raggiungere, soprattutto per l’impatto che hanno i settori dei trasporti e del riscaldamento degli edifici.
E, in effetti, La Commissione europea esorta l’Italia ad adottare azioni appropriate contro l’emissione di polveri sottili poiché il paese mantiene livelli persistentemente elevati di particelle di materia che rappresentano un grave rischio per la salute pubblica: l’inquinamento da PM10 è causato principalmente da emissioni connesse al consumo di energia elettrica e al riscaldamento, ai trasporti, all’industria e all’agricoltura.
Ogni anno l’inquinamento da polveri sottili provoca nel bel paese più di 66 000 morti premature, rendendo l’Italia lo Stato membro più colpito in termini di mortalità connessa al particolato, secondo le stime dell’Agenzia europea per l’ambiente .

 

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