Moda, arriva la svolta sostenibile con le nuove norme Ue

Marina Spadafora: "Passi in avanti dal punto di vista ambientale, meno sulla sostenibilità sociale"

“Molto bene i passi in avanti dal punto di vista ambientale ma senza unirli alla sostenibilità sociale, quello dell’Unione europea rimane un discorso a metà”, Marina Spadafora, coordinatrice Fashion Revolution Italia.

La Commissione Europea ha approvato una serie di norme relative al settore del fashion con l’obiettivo di renderlo più sostenibile dal punto di vista ambientale.

Indumenti che durano di più al posto della fast-fashion (ovvero produrre, sempre di più a prezzi sempre più bassi e competitivi), tessuti con un maggior tenore di fibre riciclate, riparabili in modo economico e con incenerimento e conferimento in discarica ridotti al minimo. Queste sono le norme Ue contenute nel nuovo pacchetto economia circolare presentato a Bruxelles.

La Commissione sta considerando nuovi requisiti di progettazione, come livelli minimi obbligatori di utilizzo di fibre riciclate, il divieto di distruzione dei prodotti invenduti, un passaporto digitale del prodotto basato su requisiti informativi obbligatori sulla circolarità e altri aspetti ambientali chiave, azioni per affrontare il rilascio involontario di microplastiche dai tessuti, con misure come il prelavaggio negli impianti di produzione industriale.

In arrivo anche nuove norme Ue armonizzate sulla responsabilità estesa del produttore per i tessili e incentivi economici per rendere i prodotti più sostenibili, l’ “eco-modulazione delle tariffe”, nell’ambito della revisione della Direttiva quadro sui rifiuti nel 2023.

Marina Spadafora, Fashion Revolution: “Norme Ue sulla sostenibilità sociale siamo però a zero”

“Oggi  il 12% dei brand internazionali si è impegnato verso questo tipo di transizione ecologica. Le norme che Commissione Europea e Parlamento Europeo stanno implementando sono molto interessanti perché lasciano meno spazio al greenwashing, vietano alle aziende di incenerire o buttare in discarica gli stock invenduti facilitando dunque il riciclo e il riuso”. Così Marina Spadafora, coordinatrice di Fashion Revolution Italia,  ha commentato in un’intervista per TeleAmbiente le nuove norme dell’Unione europea in materia di fashion ecosostenibile, ribadendo però che “le normative europee non si occupano delle questioni sociali”.

E aggiunge: “Le maestranze tessili che lavorano oggi nella filiera della moda, parliamo di più di 70 milioni di persone, vengono ancora pagate molto poco e non hanno nessun tipo di sicurezza né di contratto nel luogo di lavoro”.

Anche quest’anno nel mese di aprile si è tenuta la “Fashion Revolution Week”, un evento nato per ricordare il crollo del Rana Plaza, avvenuto il 24 aprile del 2013. Si trattava di un edificio commerciale di ben otto piani che ospitava produzioni tessili legate ad aziende del Fast-fashion. Il crollo avvenne per abuso edilizio ed uso improprio dell’edificio.  Le vittime accertate furono circa 1134.

Il movimento si batte proprio per una moda pulita, sicura, equa, trasparente e responsabile attraverso la ricerca, l’educazione e la difesa.  Il movimento evidenzia che la maggioranza delle persone che producono i vestiti non sono pagate abbastanza per soddisfare le loro esigenze di base, e sentono già gli impatti della crisi climatica, che l’industria della moda alimenta.

Marina Spadafora spiega che sono proprio le grandi marche che si riforniscono dai produttori nei Paesi in via di Sviluppo a dover chiedere a questi ultimi di pagare maggiormente i propri lavoratori prendendosi carico della piccola percentuale di costi in più che si andrebbe a creare. I consumatori, da parte loro, dovrebbero fare una ricerca prima di spendere i propri soldi nell’acquisto di abiti per capire quanto le aziende dalle quali si sta per acquistare hanno fatto e stanno facendo sul fronte della sostenibilità ambientale e sociale.

 

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