La crisi climatica sta facendo emergere una nuova forma di disuguaglianza, la cooling poverty, ovvero la povertà di raffrescamento.
L’aumento delle temperature medie globali e delle ondate di calore estreme ha fatto emergere un nuovo tipo di disuguaglianza. Si tratta della systemic cooling poverty, ovvero la povertà di raffreddamento sistemica, che amplia il concetto di povertà energetica, includendo l’incapacità delle persone più vulnerabili di rinfrescarsi adeguatamente.
Se c’è chi riesce a fronteggiare temperature sempre più elevate semplicemente accendendo un condizionatore, c’è chi invece è costretto ad affrontare giornate caldissime senza potersi difendere in modo adeguato.
Uno studio pubblicato su Nature Sustainability da un gruppo di ricercatori dell’Università di Oxford, dell’Università Ca’ Foscari Venezia, della Fondazione CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici), di RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment e della London School of Hygiene & Tropical Medicine, offre un quadro su questa nuova forma di disuguaglianza.
A causa della crisi climatica nell’ultimo decennio sono state registrare le temperature più alte degli ultimi 140 anni, e a pagarne maggiormente le conseguenze sono le popolazioni più povere e svantaggiate. La systemic cooling poverty colpisce duramente soprattutto nelle periferie delle grandi città, dove la popolazione non dispone di grandi mezzi economici e l’urbanizzazione ha portato a sacrificare numerose aree verdi.
Si tratta di un problema sistemico perché coinvolge diversi fattori, come la mancanza di verde urbano, che invece mitigherebbe le temperature, l’eccessiva cementificazione, ma anche e soprattutto l’impossibilità di comprare dispositivi di raffrescamento a causa di scarsi mezzi economici. A questo si aggiunge anche l’abbigliamento utilizzato: indossare abiti e vestiti di scarso valore, realizzati in fibre sintetiche poco traspiranti, non fa che aumentare i disagi derivanti dal caldo.
Enrica De Cian, professoressa all’Università Ca’ Foscari Venezia e co-autrice dello studio, evidenzia “l’importanza di affrontare i rischi legati all’esposizione al calore con un coordinamento efficace tra diversi settori, come l’edilizia abitativa, la sanità, l’alimentazione e l’agricoltura, i trasporti“. Quindi, per combattere la systemic cooling poverty occorre agire su più livelli e soluzioni globali.
Il futuro e la soluzione al problema non risiede nell’acquisto e nell’uso di più condizionatori, ma nella possibilità di rendere le nostre città più verdi, con palazzi costruiti con materiali in grado di schermare dal calore, o muri pensati per disperdere gli eccessi termici, o ancora una diversa gestione sensata della ventilazione e dell’ombra in città.