Le diete green (o vegetariane, che dir si voglia), sono ormai una realtà consolidata da tempo e il numero di persone che sceglie di adottare questi regimi alimentari è in crescente aumento; le ragioni alla base di questa scelta sono essenzialmente tre: una parte le sceglie per amore, o comunque rispetto per la vita degli animali; una parte per ragioni legate alla salute (ritengono cioè che una dieta vegetariana possa assicurare una maggiore speranza di vita rispetto ad altri modelli alimentari), un’altra parte, infine, per motivazioni legate alla tutela dell’ambiente.
Diete green: le tipologie
Contrariamente a quanto si potrebbe superficialmente pensare, lo spettro delle diete green è piuttosto variegato; sono davvero molti, infatti, i regimi alimentari che possono definirsi in tal modo. Di seguito una breve rassegna.
Nota: alcuni autori ritengono che le seguenti suddivisioni siano ormai da considerarsi superate, ma è un fatto che sono ancora diffusamente utilizzate in letteratura.
- Dieta latto-vegetariana – È permesso il solo consumo di latte e derivati e quello di qualsiasi tipo di alimento vegetale; l’utilizzo del miele (che, come noto, è un alimento di origine animale) è lasciato alla discrezione del singolo.
- Dieta latto-ovo-vegetariana – Spesso indicata come dieta LOV, è un regime alimentare green nel quale sono esclusi tutti quegli alimenti quali carni, pesce, molluschi, crostacei ecc. che derivano dall’uccisione diretta di animali, sia terrestri che marini.
- Dieta ovo-vegetariana – La dieta ovo-vegetariana è praticamente identica a quella latto-ovo-vegetariana, con la differenza che esclude il latte e i suoi derivati.
- Dieta vegana – Nota anche come dieta vegetariana, è una delle diete green più radicali, tant’è che la si può considerare come la dieta vegetariana in senso stretto. Esclude in modo assoluto tutti quei prodotti alimentari in cui vi è un coinvolgimento degli animali; i vegetaliani, quindi, oltre a carne e pesce rinunciano anche a uova e derivati, latte, latticini, miele ecc.
- Forme particolari della dieta vegana sono la dieta crudista (si possono consumare soltanto frutta e verdure crude o comunque sottoposte a lavorazioni in cui non si superi una temperatura di 40 °C) e quella fruttista che si basa sul consumo di frutti e verdure carnosi quali pere, mele, angurie, arance, melanzane, zucchine ecc.), semi oleosi e semi germogliati.
- Alcuni considerano fra le diete green anche la dieta macrobiotica, un regime alimentare che, nella sua versione standard, contempla il consumo di cereali integrali in chicchi, legumi, verdure e frutta di stagione e carni bianche (oppure pesci a carne bianca).
Diete sostenibili e impatto ambientale
Da decenni ormai si discute su quale sia l’impatto ambientale dei vari regimi alimentari e se la scelta di un regime alimentare green sia meno problematica per l’ambiente rispetto a una dieta di altro tipo.
L’idea che un regime vegetariano o vegano possa dare diversi benefici in termini di inquinamento non è nuova e iniziò ad avere una certa popolarità dopo la pubblicazione del libro Diet for a Small Planet (1971) della ricercatrice statunitense Frances Moore Lappé; nella sua opera, Lappé afferma che l’impatto ambientale della produzione di carne è particolarmente dispendioso e contribuisce alla scarsità di cibo a livello globale.
Una ricerca relativamente recente (2017) è quella svolta dal gruppo di Nutrizione Umana del Dipartimento di Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco dell’Università di Parma; la ricerca è stata pubblicata sulla rivista Scientific Reports e ha confrontato i tre regimi alimentari più comuni, ovvero la dieta onnivora, la dieta vegetariana e quella vegana. I ricercatori hanno elaborato i dati nutrizionali e ambientali medi giornalieri, esaminando il consumo settimanale di 153 volontari. Dal punto di vista nutrizionale (in termini di apporto calorico) non sono risultate differenze particolarmente importanti fra i tre modelli alimentari; lo stesso, invece, non si può dire per quanto riguarda i risultati sul fronte dell’impatto ambientale.
Lo studio tiene conto di tre valori:
- carbon footprint (un parametro che viene impiegato per stimare le emissioni gas serra provocate da un prodotto, da un servizio, da un’organizzazione, da un evento o da un soggetto, espresse generalmente in tonnellate di CO2 equivalente);
- water footprint (o impronta idrica, un indicatore che mostra il consumo di acqua dolce da parte della popolazione);
- ecological footprint (un indicatore che viene impiegato per la valutazione del consumo umano di risorse naturali rispetto alla capacità della Terra di rigenerarle).
Secondo quanto emerso dallo studio, il regime alimentare con un impatto più elevato è risultato quello onnivoro; i ricercatori hanno però anche messo in evidenza una certa differenza fra il modello alimentare vegetariano e quello vegano evidenziando maggiori criticità in quest’ultimo in quanto comporterebbe maggiori processi di trasformazione e trasporto che inquinerebbero l’ambiente.
Che vi siano molte ricerche che indichino che le diete green abbiano minore impatto ambientale rispetto ad altri modelli alimentari è un fatto (fra gli altri, una ricerca del 2009 della Loma Linda University che mise in luce che “una dieta a base di carne richiede 2,5 volte più energia primaria, 2,9 volte più acqua, 13 volte più fertilizzanti e 1,4 volte più fitofarmaci rispetto a una dieta LOV) ma va precisato anche, per amore di onestà, che vi sono anche ricerche in controtendenza.
Conclusioni interessanti sono quelle cui è giunta una ricerca del 2015 pubblicata sulla rivista Environment Systems and Decisions; lo studio ha preso in esame tre diversi tipi di dieta e ha mostrato che, a parità di calorie assunte, alcuni prodotti vegetali (melanzane, cetrioli e sedano) possono avere un maggiore impatto sull’ambiente rispetto a quello di alcuni prodotti di origine animale (maiale e pollo). Paul Fischbeck, uno degli autori della ricerca, ha puntualizzato, per esempio, che “consumare lattuga è tre volte peggio che consumare pancetta, se si fa riferimento alle emissioni di gas serra”; quindi, in linea generale, se è innegabile che le diete green risultano spesso meno inquinanti rispetto a quelle basate su prodotti animali, non si può dire la stessa cosa se si mettono a confronto determinati prodotti delle une e delle altre (l’enorme aumento dei frutti esotici degli ultimi anni, per esempio, sta creando diversi problemi a livello idrico).
Vale anche la pena citare il rapporto La sfida della qualità dell’aria nelle città italiane (settembre 2017) dal quale è emerso che l’agricoltura è responsabile del 96% delle emissioni di ammoniaca in Italia (provenienti dai fertilizzanti e dalle deiezioni degli allevamenti); lo stesso rapporto mostra che più di un terzo delle polveri sottili PM10 di Milano proviene dall’agricoltura.
Fra le possibili soluzioni ai problemi ambientali, c’è sicuramente un maggior ricorso alle energie rinnovabili (solare, eolica, idroelettrica, geotermica ecc.); come spiegato eloquentemente dal rapporto The True Cost of Fossil Fuels: Saving on the Externalities of Air Pollution and Climate Change (2016) pubblicato dall’International renewable energy agency (Irena): se entro il 2030 si riuscisse a raddoppiare la quota totale di fonti rinnovabili si avrebbe una drastica riduzione delle emissioni nocive per la salute (quantificabile in un risparmio di vite vicino ai quattro milioni di unità).
Sulla stessa linea il rapporto Energy and air pollution (2016) dell’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) secondo cui, con un incremento del 7% degli investimenti nelle energie rinnovabili si potrebbero evitare la metà delle morti legate all’inquinamento dell’aria.
Diete green: qualche numero
Secondo quanto riportato dal rapporto Italia Eurispes del 2018, nell’ultimo quinquennio, il numero di coloro che si dichiarano vegetariani ha avuto un andamento discontinuo; per quanto riguarda l’anno in corso, i vegetariani dichiarati sono il 6,2%, in aumento rispetto al rispetto al 2017 (4,6%); nel 2016 erano il 7%, nel 2015 il 5,7% e nel 2014 il 6,5%. Si registra invece un calo di coloro che hanno optato per un regime alimentare vegano; nel 2017 erano il 3%, mentre nel 2018 sono solo lo 0,9%.
Per quanto i valori del quinquennio relativi a vegetariani e vegani possano dirsi abbastanza costanti in linea generale, l’alternanza delle percentuali, ancorché non particolarmente eclatante in senso assoluto, fa pensare, secondo i relatori del rapporto, a una transitorietà della scelta e a un’alternanza fra diete vegetariane, veganismo, e anche ritorni a regimi nutrizionali onnivori.
Se si danno per corretti i risultati del rapporto Eurispes, il nostro Paese è uno dei più vegetariani fra quelli che fanno parte della Comunità Europea; un altro Paese in cui le diete green sono piuttosto affermate è la Germania.
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