Si scrive inquinamento dell’aria, si pensa solo agli ambienti esterni. Ma ci sono anche quei veleni invisibili che respiriamo davanti al computer, nell’ufficio di lavoro. E poi i negozi, i centri commerciali, le aule scolastiche, le palestre, i ristoranti, autobus, ospedali e ambulatori. Spazi chiusi o ambienti indoor. Dove spesso l’inquinamento è maggiore che all’aperto. Alla qualità dell’aria negli ambienti chiusi, dove passiamo circa il 90% della nostra vita, l’Organizzazione mondiale della sanità negli ultimi anni ha dedicato molta attenzione.
La definizione di inquinamento indoor
Nel 1991 il ministero dell’Ambiente definisce l’inquinamento indoor come “la presenza nell’aria di ambienti confinati, di inquinanti chimici, fisici o biologici non presenti nell’aria esterna”. Questo tipo d’inquinamento può dipendere dalle attività professionali dei lavoratori, ventilazione inadeguata, materiali per la costruzione, arredi, metodi particolari di pulizia e dai prodotti impiegati, oltreché dai processi di combustione. Ecco le principali sostanze chimiche responsabili dell’inquinamento negli ambienti chiusi:
- Polveri aerodisperse (Pm10, Pm2.5, polveri ultrafini)
- Monossido di carbonio
- Fumo di tabacco
- Composti organici volatili (COV)
- Fumo di legna
- Amianto
- Fibre di lana sintetiche (lana di roccia e lana di vetro)
- Antiparassitari (usati per zanzare ed altri insetti)
- Ossidi di zolfo e di azoto
- Ozono (emesso da alcuni modelli di stampanti laser e fotocopiatrici)
Qual è il quadro normativo
Se ne parla da quasi trent’anni ma l’inquinamento indoor ancora non è diventato oggetto di una normativa specifica. Non esiste, in particolare, una legislazione nazionale di settore anche se a vari livelli il problema è stato affrontato più volte, con la pubblicazione di linee guida tramite l’azione congiunta degli esperti dell’istituto superiore della Sanità, ministero della Salute, Regioni, Ispra e Cnr. Almeno dal 1998, quando viene istituita presso l’ex dipartimento della prevenzione del ministero della Salute la commissione indoor “con il compito di fornire linee di indirizzo tecnico volte a promuovere lo sviluppo di iniziative di prevenzione primaria e secondaria in materia di inquinamento degli ambienti confinati e per l’approfondimento delle conoscenze sulle cause d’inquinamento e del relativo impatto sulla salute”. S’arriva al 2001, quando vengono tracciate le Linee guida per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati con un accordo fra il ministero della Salute, le Regioni e le Province autonome. Fra le righe del documento si legge che “la presenza di numerosi inquinanti, in primo luogo il fumo passivo, e il clima caldo-umido delle abitazioni (favorente la crescita degli acari e di funghi nella polvere domestica), hanno sicuramente contribuito all’aumento dell’incidenza e della prevalenza di patologie respiratorie croniche, come l’asma, ed all’incremento della loro evoluzione verso forme persistenti, gravi ed invalidanti”. Quindi la percezione del problema nei palazzi del governo esisteva quasi vent’anni fa. L’obiettivo del documento era una serie di iniziative di prevenzione per la tutela e la promozione della salute negli ambienti interni, a vari livelli istituzionali.
Quattro i capisaldi dell’intervento:
– Diritto alla salute per tutti, in particolare per bambini, anziani e allergici
– Sostenibilità degli edifici, dal punto di vista della progettazione, costruzione, ristrutturazione e gestione, favorendo, perché no, quelli che impiegano energie rinnovabili.
– Prevenzione scientificamente giustificata, cioè fondata su solide conoscenze scientifiche e sulla priorità della tutela degli interessi della sanità pubblica rispetto a quelli economici, dell’industria, del commercio e della produzione.
– Partecipazione dei cittadini alle campagne di prevenzione.
Passano cinque anni. Un altro tentativo di inquadrare la materia che s’intreccia inevitabilmente sicurezza e salute sui luoghi di lavoro è affidato alle Linee guida su microclima, aerazione e illuminazione nei luoghi di lavoro. Un testo di quasi 200 pagine, curato dal coordinamento tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e Provincie autonome (1° giugno 2006), che dà alcune indicazioni operative e progettuali per i diversi attori della sicurezza a vario titolo coinvolti (addetti alla sicurezza aziendale, progettisti, consulenti, medici competenti, rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, operatori degli organi di vigilanza) in un panorama legislativo e normativo sempre comunque frammentario.
I riferimenti normativi nel privato
Ci ha provato l’Inail, in collaborazione con l’Oms e l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute del lavoro, che ha promosso in passato iniziative su base volontaria per migliorare la qualità ambientale e ridurre i rischi di contrarre malattie nei luoghi di lavoro, trovando un meccanismo per premiare le aziende attraverso le riduzioni delle tariffe. Ma le aziende sono tenute comunque a rispettare gli obblighi valutando tutti i rischi negli ambienti di lavoro, compresi quelli relativi all’inquinamento indoor, in nome del decreto Legislativo 81/08 (Testo Unico sulla Sicurezza del Lavoro). Il datore di lavoro è chiamato a effettuare regolarmente la valutazione dei rischi cui sono sottoposti i suoi dipendenti predisponendo le azioni necessarie per ridurre tali rischi. Sul mercato, a tal proposito, esistono varie tecnologie che consentono un monitoraggio continuo degli agenti inquinanti indoor.
I riferimenti normativi nel pubblico
Il punto di partenza è il piano nazionale della prevenzione 2014-2018 varato dal ministero della Salute con cui s’invitano gli enti pubblici ad attuare una serie di azioni per promuovere la prevenzione, migliorando le condizioni degli ambienti chiusi e formando gli operatori che dovrebbero occuparsi di tutela igienica e sanitaria. Nel 2010 si è insediato presso l’Istituto superiore di sanità il Gruppo di studio nazionale (Gds) inquinamento indoor che lavora per dare al legislatore gli strumenti per arrivare a una legge quadro del settore. Sono stati elaborati vari documenti di riferimento, preziosi per definire una legislazione nazionale di settore: dal monitoraggio dei principali inquinanti al ruolo delle diverse sorgenti, dalle attività di efficientamento energetico alle varie combustioni. Ma una legislazione nazionale, appunto, è ancora inesistente.
®Eco_Design WebMagazine