Dai graffiti rupestri dell’epoca primitiva agli impacchettamenti di Christo: rintracciare un rapporto tra arte e natura non è impresa da poco. L’arte si è trovata a dialogare e interpellare la natura in ogni momento della storia umana. Ma il capitolo della storia dell’arte che focalizza il rapporto tra arte e ambiente ha assunto un rilievo di primo piano soprattutto nell’ultimo secolo.
In principio fu l’arte concettuale
La Land Art o Arte Ecologica prende le mosse sul finire degli anni ’60 e s’innesta in un sistema artistico più complesso, quello dell’Arte Concettuale e dell’Arte Povera in Italia. In effetti la Conceptual Art americana e l’Arte Povera italiana occupano all’incirca lo stesso arco temporale, tra la seconda metà degli anni ‘60 e la prima degli anni ‘70. Una prima descrizione della Conceptual Art ci è fornita dall’artista e musicista Fluxus Henry Flint, in un saggio del 1961 cui segue, nel 1967, la pubblicazione dei Paragraphs on Conceptual Art di Sol LeWitt. Del 1968 è invece l’articolo firmato da Lucy Lippard e John Chandler, che pone l’accento sulla smaterializzazione dell’opera, dunque sul primato dell’idea rispetto alla realizzazione. Si consolida l’idea della mort de l’auteur come annunciata da Roland Barthes, già avviata dalla Minimal Art: l’artista è solo uno scriptor e il ruolo di portatore di passioni, umori, sentimenti è affidato unicamente allo spettatore. L’esperienza dell’Arte Povera italiana occupa pressappoco lo stesso arco di tempo che la Lippard identifica per l’arte concettuale, ovvero i sei anni dal 1966 al 1972. Sotto l’etichetta di Arte Povera, coniata nel 1967 dal critico Germano Celant e mutuata dal teatro povero di Jerzy Grotowski, ritroviamo autori molto diversi tra loro, caratterizzati tanto da inclinazioni processuali che concettuali. Elementi di distacco evidente rispetto alla Conceptual Art americana sono la connotazione politica e sociale che l’Arte Povera assume, caldeggiata essenzialmente dallo stesso Celant (emblematico è il sottotitolo dell’articolo del 1967, Appunti per una guerriglia) e accolta da molti degli artisti coinvolti, e la maggior attenzione all’individualità dell’artista del fenomeno italiano rispetto a quello americano.
Quando il paesaggio è un’arte
L’interesse italiano per le forme antropomorfe viene classificato come atteggiamento “anti-modernista e anti-tecnologico”, giustificato come attaccamento a un’economia rurale e come rifiuto di una cultura di consumo avanzata. Ma la povertà dei materiali non va intesa come recupero assoluto dei valori artigianali, piuttosto come ricerca di un rapporto diretto con l’universo circostante, ovvero come pratica artistica tesa a valorizzare il dato sensibile, l’immediatezza percettiva. Su questo humus culturale si innesta il fenomeno della Land Art, l’arte ecologica per antonomasia: anche qui il valore dell’opera non è tanto nell’artefatto finito quanto nell’idea e nel progetto che esulano da fini estetici. Le opere diventano vere e proprie azioni giocate dall’uomo sulla natura, operazioni che vogliono sperimentare un rapporto completamente da ridefinire e ricostruire. In qualche caso si tratta di gesti eclatanti, azioni di contrasto e straniamento, portati anche avanti con l’impiego di materiali innaturali. The Floating Piers di Christo, la passerella sul lago di Iseo su cui nel 2016 hanno camminato 1,5 milioni di visitatori, rappresenta uno degli esempi più recenti. Quanto di ecologico c’è in molte delle opere riconducibili a questo movimento? Appare chiaro come non sempre l’arte ambientale scaturita dalla Conceptual Art utilizzi mezzi ecologici. Solo alcuni artisti hanno sostenuto il messaggio ambientale anche con l’utilizzo di materiali naturali. È il caso della spiral getty di Robert Smithson, ma anche di molta arte povera italiana. Basti pensare alle interazioni tra artificiale e naturale, tra spontaneo e costruito attuate da Giuseppe Penone. Altri artisti invece hanno preferito la sperimentazione diretta e il coinvolgimento personale, giungendo a proporre performance e happening per alcuni versi eclatanti. Famosa è l’esposizione di 14 cavalli vivi proposta da Kounellis nel 1969 o le actions dell’artista tedesco Joseph Beuys, forse uno dei più significativi ispiratori dell’arte ambientale. Tutta la sua opera è improntata a una strenua difesa dell’uomo dei valori umani e della natura. Soprattutto negli ultimi anni si è sviluppato un’altro interessante filone dell’arte ambientale, che utilizza materiali naturali e biodegradabili. Uno dei principali esponenti è Giuliano Mauri che crea sorprendenti architetture utilizzando rami intrecciati di varie dimensioni. Questo tipo di arte, che rimane fuori dalle leggi del mercato, ci riporta a una dimensione costruttiva del rapporto tra arte e ambiente.
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