Giustizia ambientale, di cosa si tratta e che impatto ha sulla società?

I paesi più poveri soffrono di maggiori danni ambientali, quelli a reddito più elevato producono la maggior parte dell'inquinamento

L’obiettivo della giustizia ambientale è proteggere il pianeta e assicurare una giusta distribuzione delle risorse.

La giustizia ambientaleEnvironmental Justice, è un concetto nato negli Stati Uniti nei primi anni ’80, oggi stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e assunto dall’Agenzia Europea dell’Ambiente. Si riferisce ai movimenti sociali e politici impegnati a favore della distribuzione equa dei benefici e degli oneri ambientali.

Il movimento per la giustizia ambientale è nato dopo che lo stato del North Carolina decise di seppellire rifiuti tossici in una discarica nella Contea di Warren. Le proteste che sono seguite hanno contribuito a denunciare pubblicamente come le comunità a basso reddito e minoritarie venissero colpite in modo del tutto sproporzionato dai rifiuti tossici e dall’inquinamento.

L’esposizione a danni ambientali, come l’inquinamento, è correlata alla povertà. L’ultimo rapporto pubblicato da Oxfam dal titolo “Carbon Inequality Kills”, dà una proporzione della distanza tra le emissioni di un miliardario e di un lavoratore qualsiasi. Secondo lo studio, l’anidride carbonica prodotta da un miliardario in un’ora e mezzo è maggiore rispetto a quella prodotta da una persona comune in tutta la sua vita. Ciò deriva dall’utilizzo di aerei privati e yacht, ma anche dagli indirizzi di investimento.

Giustizia ambientale e giustizia sociale sono strettamente collegate: i problemi ambientali producono impoverimento e accentuano le disuguaglianze, ma sono le stesse disuguaglianze sociali che creano o accentuano i problemi ambientali.

Giustizia ambientale e impatto sulla società

I cambiamenti climatici non saranno mai uguali per tutti. È una questione, prima di tutto, di geografia sociale.  Che la crisi climatica colpisca di più i paesi poveri e tende ad accentuare le disuguaglianze economiche tra le nazioni è stato anche scientificamente confermato da un  studio di Noah S. Diffenbaugh e Marshall Burke intitolato “Global warming has increased global economic inequality”.

A partire dal 2010, con il sostegno finanziario dell’Unione Europea, è stato sviluppato un progetto di ricerca allo scopo di creare un inventario dei conflitti sociali in corso su problematiche ambientali: l’Environmental Justice Atlas (EJAtlas), poi diventato “Environmental Justice Project“. Sono stati raccolti e documentati più di 3.660 casi di studio di conflitti, dalle costruzioni di centrali nucleari all’estrazione di minerali da miniere, dall’estrazione di combustibili fossili alla sottrazione dell’acqua pubblica e alla costruzione di autostrade, aeroporti, linee ferroviarie. Sono presi in esame anche casi di inquinamento industriale, deforestazione, furto di terre, sovrasfruttamento di aree marine.

Il quadro che emerge da questo studio documenta il ruolo cruciale svolto dalle migliaia di comunità nel mondo che hanno finora cercato di opporsi ai processi di ingiustizia climatica, dalle manifestazioni di piazza alle denunce o occupazioni di suolo.

Italia, siti da anni in attesa di bonifica

Ancora oggi in Italia a 6 milioni di persone viene negato il diritto alla salute (dati dell’Istituto superiore di sanità- Iss), a un ambiente salubre e allo sviluppo sostenibile dei territori. “Chi inquina non può continuare a farla franca“, scrive Legambiente, promotrice della campagna “Ecogiustizia subito, in nome del popolo inquinato”.

L’Italia è in attesa da decenni della bonifica di ben 42 Siti di Interesse Nazionale (SIN), per una superficie di circa 170.000 ettari a terra e 78.000 ettari a mare, e ben 36.814 Siti di Interesse Regionale (SIR) per un totale di 43.398 ettari perimetrati.

In molte di queste aree i rischi non sono equamente distribuiti e i benefici spesso non sono appannaggio delle stesse comunità o gruppi più fragili, una doppia disparità che aumenta le diseguaglianze, ambientali e socio-economiche.

 

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