
Lo vediamo soffocare i mari e scatenare disastri ambientali che continueranno a provocare danni per decenni. Effetti e impatti degli sversamenti di petrolio.
Si parla sempre di più della necessità di una transizione energetica e di maggiore utilizzo di fonti rinnovabili, ma il petrolio resta una delle risorse ancora maggiormente sfruttate. I suoi derivati si impiegano abitualmente come combustibili per riscaldamento, nell’industria o anche come carburante per le automobili. Il petrolio in mare, però, rappresenta una tra le forme più gravi di contaminazione di questo ambiente.
Lo scorso 10 marzo nel Mare del Nord, al largo della coste britanniche, è avvenuta una collisione tra la petroliera “Stena Immaculate” e la nave cargo “Solong”, scatenando un incendio e rischiand di causare una catastrofe ambientale. Stando a quanto riferisce la BBC, la petroliera coinvolta era una delle dieci imbarcazioni che trasportano il carburante per le forze armate Usa, in particolare cherosene per aerei, da utilizzare in situazioni di conflitto o emergenza.
Due petroliere russe, alla fine dello scorso anno, sono state travolte da una violenta tempesta nello Stretto di Kerch, al largo della Crimea. Una si è spezzata in due, provocando la morte di un marinaio, entrambe sono affondate causando fuoriuscite di olio combustibile pesante (mazut). Le due petroliere trasportavano tra le 8.000 e le 9.000 tonnellate di prodotti petroliferi. Di queste, secondo le stime, potrebbero essere finite in mare tra le 2.500 e le 4.500 tonnellate di mazut, come si legge in una nota di Greenpeace.
Dopo pochi giorni, il mazut fuoriuscito dalle petroliere ha raggiunto alcune coste del Mar Nero, e i residenti locali hanno iniziato a pubblicare video che mostravano macchie di mazut e uccelli intrappolati nel petrolio lungo il litorale nei pressi di Anapa.
Questo episodio evidenzia inoltre un problema ben più ampio, ovvero, quello delle attività della cosiddetta flotta ombra russa, come spiega Greenpeace. La Russia infatti impiega petroliere obsolete per esportare petrolio greggio e finanziare la guerra in Ucraina.
Greenpeace Germania ha identificato le 192 petroliere più pericolose della flotta ombra. “Chiediamo che anche queste navi vengano aggiunte alla lista delle sanzioni dell’Unione Europea nei confronti della Russia, bloccandone sia la circolazione nelle acque e nei porti dell’UE, sia il commercio del petrolio e dei prodotti trasportati”, affermano dall’associazione.
Dopo un incidente ad una petroliera, i problemi maggiori consistono nell’ottenere un quadro generale dell’area colpita, capire l’entità della perdita e se si può prevedere la direzione in cui si muoverà il petrolio. La Conferenza sul commercio e lo sviluppo delle Nazioni Unite (Unctad) stima in poco più di 10.000 le petroliere in circolazione nel mondo, per una capacità di carico di oltre 500 milioni di tonnellate, in crescita negli ultimi anni.
Il petrolio in mare si estende sulla superficie del fluido, dando origine a una macchia scura e oleosa. Le sostanze tossiche contenute nel petrolio vengono assimilate da fauna e flora marine e, attraverso la catena alimentare, possono provocare seri danni a molte specie di uccelli, rettili e mammiferi, oltre che essere umani. Inoltre, i danni provocati dal petrolio in mare non sono reversibili. Portare a zero il rischio non è possibile, ma sono in continuo sviluppo norme e procedure per ridurre il potenziale rischio di incidenti e ripulire tempestivamente le fuoriuscite.
Il Mar Mediterraneo è caratterizzato da un traffico marittimo intenso, specie legato alle petroliere, perché fornisce l’accesso al Medio Oriente, al Mar Nero e all’Europa del sud. Ovviamente ciò determina un elevato rischio di inquinamento e di disastro ecologico. A ciò si aggiunge il fatto che il Mediterraneo è un mare chiuso e che gli inquinanti non possono diluirsi su un’area più grande per effetto delle correnti oceaniche. Le immagini via satellite possono offrire un contributo significativo in questo campo, identificando eventuali chiazze di petrolio su aree molto estese, guidando poi le ricerche dall’alto e facendo eseguire osservazioni precise in aree specifiche. Come, ad esempio, il radar ad apertura sintetica SAR (Synthetic Aperture Radar), uno strumento eccellente per monitorare ed individuare perdite di petrolio sulla superficie dell’acqua.
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