The Commonwealth Fashion Exchange: cosa c’è dietro i capi esposti

Moda etica a Buckingham Palace: fashion e sostenibilità hanno ispirato 30 creazioni di stilisti membri del Commonwealth in un progetto espositivo itinerante

Cosa c'è dietro la mostra The Commonwealth Fashion Exchange | Anter

Stile, eleganza, creatività, attenzione all’ambiente e alla sostenibilità: cinque presupposti per un matrimonio possibile e duraturo.
Ce lo insegna la mostra The Commonwealth Fashion Exchange, inaugurata nella cornice di Buckingam Palace fra le iniziative collaterali dell’edizione 2018 della London Fashion Week. Ce lo insegna dal momento che le 30 creazioni firmate dai più talentuosi stilisti provenienti da 53 paesi del Commonwealth rispondono a tutti i dettami etici e sostenibili nel campo della moda, dalla scelta dei tessuti fino ai… manichini. Sì perché l’azienda Bonaveri di Cento (Ferrara) – leader mondiale nei manichini d’alta gamma, unica realtà italiana a contribuire alla realizzazione dell’evento – ha sostenuto il progetto con i propri manichini biodegradabili in B Plast, bioplastica brevettata proveniente al 72% dalla canna di zucchero.

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Un vero e proprio avvenimento mondano visto che al ricevimento erano presenti la duchessa di Cambridge Kate Middleton e la contessa del Wessex Sophie Rhys-Jones, insieme a grandi nomi del mondo della moda come Anna Wintour, Edward Enniful, Livia Firth, Nadia Swarovski, Neelam Gill, Naomi Campbell, Stella McCartney e Caroline Rush. Dopo il vernissage regale, la mostra si è spostata nelle sale dell’Australia House di Londra dove è visitabile fino a martedì 6 marzo per poi volare a settembre a New York.
Un progetto ben strutturato anche nel tempo che porta in scena modelli unici creati da celebri designer, realizzati nel pieno rispetto dei principi di sostenibilità ed eccellenza stabiliti dal Green Carpet Challenge, l’evento ideato da Livia Firth per portare l’eco fashion sui red carpet di tutto il mondo. Tra i nomi di spicco, Karen Walker per la Nuova Zelanda, Bibi Russel per il Bangladesh, Burberry e Stella McCartney per il Regno Unito. Coinvolti 52 paesi, messi a lavorare l’uno con l’altro, incrociando lo scambio di filiere e designer: rigidi criteri di una produzione sostenibile, etica, solidale e sociale, secondo i paletti fissati da Eco Age per l’industria del fashion con l’auspicio che i nostri abiti durino nell’armadio nel più lungo tempo possibile.

Livia Firth

Eco Age, non a caso. La società londinese fondata da Livia Firth, l’italianissima moglie di Colin Firth paladina della moda green, ha organizzato nel settembre 2017 un evento d’eccezione insieme alla Camera nazionale della moda italiana e il supporto del ministero italiano per lo Sviluppo economico. Nella cornice del Teatro della Scala, i Green Carpet Fashion Awards hanno dedicato una notte tutta italiana all’etica fashion, valorizzando brand di casa nostra più attenti all’artigianalità come Gucci, Missoni e Brunello Cucinelli.
Da sempre contraria all’industria del fast fashion che corre veloce e calpesta i diritti umani, era stata Livia Firth a dichiarare in una recente intervista a Vogue che “una donna oggi tiene in media un abito nel suo armadio per cinque settimane e basta” mentre “un abito invece dovrebbe durare nel tempo, magari chiedendo dei risparmi per comprarlo che però lo rendono qualcosa che non si getta via dopo pochi usi”. “Serve maggiore responsabilità a tutti i livelli – chiosa l’imprenditrice – a partire dai consumatori, che hanno il potere dalla loro”.

 

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