Effetto serra e diritto ad inquinare: cos’è e come funziona il mercato delle ETS

Dopo gli accordi di Kyoto (1997) i governi di tutto il mondo hanno cominciato a cercare soluzioni efficaci per ridurre le emissioni di gas serra, senza pregiudicare la crescita economica, paradigma fondamentale del nostro mondo. Uno degli attori fondamentali per raggiungere gli obiettivi di Kyoto è stato senza dubbio l’Ue che ha lavorato alacremente alla creazione di un mercato unico delle emissioni. Ed è così che nel 2005 la UE ha dato vita al mercato delle emissioni inquinanti creando l’ETS EU. Il mercato si è evoluto nel tempo, attraversando 4 fasi:

  • fase I (2005-07) è stata la fase di rodaggio di alcuni elementi alla base del meccanismo;
  • fase II (2008-12) forte delle prime osservazioni, si sono corretti alcuni aspetti riguardanti il meccanismo di assegnazione delle quote e si sono fissati i relativi prezzi;
    fase III (2013-2020): dopo gli accordi di Parigi sono stati introdotti nuovi obiettivi;
  • fase IV (2021-2030): nuova direttiva del 2018, nel quadro legale del Clean Energy for all, che fissa obiettivi più ambiziosi per quanto riguarda la riduzione delle emissioni e introduce alcune importanti novità.

 

Un mercato per comprare emissioni

 

L’ETS (Emission Trading System)[1] EU è stato il primo meccanismo di regolazione del mercato di vendita delle emissioni, oggi nel mondo se ne contano molti attivi: Canada, Cina, Giappone, Nuova Zelanda, Corea del Sud, Svizzera e Stati Uniti.
Durante gli anni è cresciuto e adesso è il primo al mondo per scambi commerciali, circa ¾ del totale.
L’idea alla base è tanto semplice quanto geniale: impostare un tetto allo sforamento dei principali gas serra (Azoto, Co2, perfluoro carburi), e parallelamente introdurre delle quote di inquinanti, una sorta di bonus, ognuna delle quali equivalente  ad una 1 tonnellata di Co2.
Dunque, ogni qualvolta un’impresa avesse sforato il tetto delle emissioni avrebbe dovuto spendere l’equivalente dello sforamento  in bonus.
Il meccanismo, nella sua versione iniziale, prevedeva un sistema gratuito di assegnazione di una parte delle quote e per il resto, invece, si era fissato un prezzo, nel 2008 30 € per una tonnellata di Co2.


L’ETS coinvolge i settori industriali pesanti, quelli che con la loro attività contribuiscono maggiormente all’inquinamento atmosferico, in modo particolare il settore energetico, siderurgico e il manifatturiero, per un totale di 11 mila aziende interessate. Fuori dal sistema ETS fino al 2022 rimane l’aviazione civile.
Quindi, a mo’ esemplificativo: l’impresa A, attiva nella manifattura, ha diritto all’assegnazione di una quota di emissioni a titolo gratuito. Durante la sua attività sfora i limiti di emissione, per rimediare, spende il bonus in sua dotazione. Avendo aumentato la produzione, ma non essendo un’impresa avanzata dal punto di vista dell’efficientamento energetico, durante l‘anno sfora di nuovo i limiti. L’impresa, però, non ha più a disposizione bonus a titolo gratuito, quindi si rivolge al mercato, dove altre imprese sue omologhe e la Ue si scambiano, pagandole, le quote.
Questo meccanismo, nelle intenzioni della Ue, con il progressivo abbassamento delle soglie di emissioni e il contestuale progressivo aumento dei prezzi delle quote, avrebbe reso quest’ultime eccessivamente care per l’impresa, che avrebbe quindi trovato più conveniente innovare i propri  processi produttivi, per limitare le emissioni di gas serra.

 

Ma qualcosa non ha funzionato

 

Il meccanismo venne pensato originariamente per una fase economica espansiva, o comunque non in crisi. Invece, con il crollo della borsa del 2008 e la successiva prolungata recessione, le imprese -tutte anche le più inquinanti- hanno diminuito la loro produzione e di conseguenza anche le emissioni in atmosfera di Co2.
Non dovendo spendere i bonus a propria disposizione, in quanto impossibilitate a sforare, le imprese si sono trovate ad avere un eccesso di quote in dotazione. Come ci insegna la legge della domanda dell’offerta: ad un eccesso di offerta, rispetto alla domanda, corrisponde una diminuzione del prezzo del bene in questione. Dunque, le quote che nel 2008 costavano 30€ a tonnellata, sono arrivate a costare, nel 2017, 5€ a tonnellata.
Quando è cominciata la ripresa economica le imprese hanno continuato ad inquinare, senza apportare migliorie ai loro sistemi produttivi, forti del prezzo delle quote.
Dunque, all’inizio della ripresa economica, è venuto meno il disincentivo ad inquinare che era il cardine del sistema ETS.

Il 2018 e la riforma del sistema ETS

 

Visto che il meccanismo si era inceppato e alla luce dell’entrata in vigore degli accordi di Parigi e degli obiettivi dell’agenda 2030 dell’Onu, l’Ue, durante la terza fase della vita dell’ETS, ha dato vita alla sua riforma, con la Direttiva 2018/410/UE ha introdotto alcune importanti novità:

  1. riduzione annuale del 2,2% della soglia limite;
  2. aumento al 57% delle quote di emissioni da vendere all’asta, ovvero comprate;
  3. modifiche del sistema di calcolo per l’assegnazione gratuita dei bonus;
  4. assegnazione di quote gratuite per le imprese operanti in settori a rischio di rilocalizzazione delle emissioni[2];
  5. assegnazione, fino al 2026, di quote a titolo gratuito, per il 30% del totale. Dal 2026, non sarà più possibile l’assegnazione gratuita;
  6. raddoppio delle quote destinate alle riserve stabilizzatrici del mercato, che sono dei fondi di bonus a disposizione dell’Ue per regolare il prezzo, in caso di nuove crisi economiche;
  7. creazione di un fondo innovazione e un fondo modernizzazione per favorire l’efficientamento energetico delle imprese.

Con le modifiche apportate, il mercato ETS EU punta a diventare uno dei cardini della strategia integrata dell’UE per la riduzione delle emissione di gas serra in atmosfera.

 

 

 

Pasquale Pagano

®Eco_Design WebMagazine

 

[1]Qui si possono trovare informazioni più dettagliate sul sistema ETS UE https://ec.europa.eu/clima/policies/ets_it

 

[2] rischio di rilocalizzazione delle emissioni è il rischio che le imprese possano delocalizzare fuori dell’UE, laddove le normative in materia di emissioni sono meno stringenti

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