Il futuro del carbone è sempre più nero

Un report americano conferma che nel 2019 i nuovi progetti legati al carbone hanno segnato un calo per il quarto anno consecutivo. Un segnale positivo verso la transizione energetica.

Il carbone perde sempre più terreno. A dimostrarlo i dati raccolti e pubblicati dal quinto report Boom and bust 2020 – Tracking the Global Coal Plant Pipeline (Espansione e frenata: monitoraggio globale degli impianti a carbone).

Dall’analisi emerge che nel 2019 i nuovi progetti legati alla fonte fossile hanno registrato un calo per il quarto anno consecutivo. Le costruzioni di nuovi impianti avrebbero segnato infatti un meno 16 per cento tra il 2018 e il 2019 e le centrali esistenti sarebbero risultate attive “per metà”, funzionando solo al 51% del loro potenziale.

 

In Europa e Usa i crolli più significativi

In sintesi il report riferisce che la quantità di energia complessiva generata dal carbone nel corso dell’anno è scesa del 3 per cento rispetto al 2018, con crolli più significativi nell’Unione Europea (con un meno 24 per cento) e negli Usa (con un meno 16 per cento).

Ed è notizia recente che proprio nello stato di New York abbia chiuso i battenti anche l’ultima centrale elettrica a carbone che era rimasta in funzione. Non un caso isolato, ma un segnale ormai inequivocabile.

Proprio nell’America del “paladino del carbone” Donald Trump la chiusura delle centrali sarebbe infatti paradossalmente aumentata del 67% rispetto al periodo della presidenza Obama. Se tra il 2009 e il 2016 la capacità produttiva degli impianti era calata di 8,2 GW all’anno, tra il 2017 e il 2019 è scesa del 13,7%.

A dimostrazione che “Il carbone semplicemente non può competere con alternative più economiche e meno inquinanti della moderna economia energetica”, come spiegato da uno degli autori del report Neha Mathew-Shah (rappresentante internazionale per la giustizia ambientale del Sierra Club).

Secondo il report a pesare sempre di più sulle sorti del carbone, trasformandolo in un mercato sempre più sfavorevole, sarebbero le dinamiche innescate dalla crescente attenzione nei confronti della crisi climatica e del riscaldamento globale. A dimostrarlo anche la scelta di 33 stati (e 27 stati federati o amministrazioni) di impegnarsi pubblicamente per accelerare la transizione verso le energie rinnovabili, e la tendenza di 126 grandi banche e compagnie di assicurazione a riporre sempre meno interesse in progetti legati a questa fonte, considerata ormai sempre più obsoleta.

 

Cina in controtendenza: qui la capacità produttiva è aumentata

Nel report c’è però anche un dato in controtendenza che balza all’occhio.

Mentre le chiusure delle centrali a carbone continuano a superare le attivazioni, nel 2019 la capacità produttiva complessiva delle centrali è tornata a crescere per la prima volta dal 2015, registrando un saldo in positivo di 34,1 GW. Il dato però ha una spiegazione, che va cercata in Cina.

I due terzi della nuova capacità produttiva registrata nel 2019 sono stati prodotti qui, segnando un trend in controtendenza rispetto a Europa e Stati Uniti. E l’incremento sarebbe il risultato di un boom di autorizzazioni esploso tra il 2014 e il 2016.

Un dato questo che potrebbe aumentare ulteriormente, a causa della crisi generata dalla pandemia di covid-19. Per stimolare un’economia gravemente provata, la Cina avrebbe infatti autorizzato – solo tra il 1° e il 18 marzo 2020 – una capacità di 7.960 MW di energia proveniente da centrali a carbone, destinata al settore edilizio. Nel 2019 era stata di 6.310 MW in un anno intero.

Il carbone nel mondo

Va detto anche che nel mondo persistono differenze profonde. Se da una parte c’è chi sta abbandonando gradualmente il carbone, in favore delle energie rinnovabili, in primis gli Usa (meno 16,5 GW in un anno) e l’Unione Europea (meno 7,5 GW); dall’altra c’è ancora chi continua ad investire su questa fonte, oltre alla Cina (che da sola ha commissionato il 64 per cento della nuova capacità installata, per un totale di 43,8 GW), troviamo India (8,1 GW), Malesia (2,6 GW), Indonesia (2,4 GW) e Pakistan (2 GW).

In sintesi quello che il report descrive è un ambiente commerciale gradualmente sempre più sfavorevole all’apertura e al mantenimento delle centrali a carbone e, parallelamente, una tendenza sempre più condivisa (sia dal mercato che dai consumatori) a puntare su fonti di energia rinnovabili, più convenienti e sostenibili.

 

Alice Zampa

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