Infertilità e inquinamento ambientale, quali sono le correlazioni e come difendersi

L’impatto dell’inquinamento ambientale sulla fertilità (sia maschile che femminile) è un tema che negli ultimi anni ha suscitato crescente interesse e gli studi effettuati in proposito sono numerosi. Se spesso è facile trovare ricerche fra loro contraddittorie su un determinato argomento, sul fatto che l’inquinamento possa arrecare notevoli danni alla fertilità c’è una sostanziale convergenza da parte dei ricercatori.

 

Fertilità maschile in notevole calo negli ultimi 40 anni

Nel 2017, un team internazionale di scienziati, guidato da H. Levine e S. H. Swan, ha pubblicato un lavoro sulla rivista scientifica Human Reproduction Update che ha mostrato che la concentrazione degli spermatozoi si è ridotta di oltre il 50% in poco meno di 40 anni (il periodo coperto va dal 1973 al 2011 e gli studi presi in considerazione, e riguardanti i Paesi occidentali, sono circa 7.500) .

Inquinamento e spermatozoi: un problema per le generazioni future

Se ormai è assodato l’impatto negativo dell’inquinamento ambientale su vitalità, qualità e motilità degli spermatozoi, un recente studio italiano pubblicato su Environmental Toxicology and Pharmacology, ha rivelato che vi sono alcune sostanze inquinanti che possono addirittura modificarne la struttura del DNA. Ne consegue che non sono solo i soggetti esposti a sostanze inquinanti a essere maggiormente vulnerabili a determinate patologie, ma anche le generazioni future.

 

A questi risultati si è arrivati grazie a un’équipe di scienziati italiani guidati da Luigi Montano, uro-andrologo della ASL di Salerno e presidente della SIRU, la Società Italiana di Riproduzione Umana. I ricercatori hanno verificato i livelli di inquinamento atmosferico, particolati PM 10 e PM 2.5 e benzene, in zone particolarmente inquinate quali: Terra dei Fuochi, zone comprese tra la provincia di Napoli e quella di Caserta, Taranto; in seguito hanno confrontato i dati raccolti con i livelli di frammentazione del DNA spermatico (una forma di danno genetico al DNA dello spermatozoo che può causare problemi di fertilità e di sviluppo embrionale) di centinaia di adulti maschi sani, non fumatori, non bevitori abituali, non consumatori di droghe, residenti da almeno 5 anni nelle aree di reclutamento e non esposti professionalmente. Dallo studio è emerso che tale frammentazione è significativamente più elevata nei soggetti provenienti dalle zone inquinate rispetto a quella verificata nei soggetti provenienti da zone di controllo considerate poco o per niente inquinate.

È interessante notare che mentre nel sangue dei soggetti controllati non si è stati in grado di dosare una presenza significativa di metalli pesanti, nel loro liquido seminale si è invece addirittura registrato un accumulo di tale sostanze; gli spermatozoi risultavano inoltre ridotti per numero, meno mobili, meno vitali e danneggiati da stress ossidativi.

Lo studio è interessante anche perché ha messo in mostra che gli spermatozoi possono essere “sfruttati” come marker (o biomarcatori, ovvero indicatori relazionabili con l’insorgenza o lo sviluppo di una patologia) di esposizione ambientale forse più efficaci di altre analisi chimiche ambientali o di laboratorio.

 

Ecco cosa dice Montano a proposito dello studio da lui coordinato: “Un recente studio cinese conferma gli effetti dell’inquinamento sulla morfologia degli spermatozoi, mentre un gruppo di ricercatori canadesi ha dimostrato gli effetti dell’inquinamento sul DNA, ma il nostro studio apre uno scenario ancora più preoccupante, mostrando come polveri sottili e altri inquinanti possano modificare l’espressione di molti geni aprendo la strada a varie patologie”.

L’inquinamento ambientale, quindi, non è preoccupante soltanto per quanto riguarda l’aspetto fertilità, ma anche per quanto concerne la salute in generale.

 

Il progetto EcoFoodFertility

La ricerca coordinata da Montano è una delle iniziative del progetto EcoFoodFertility, ideato dallo stesso scienziato italiano alcuni anni fa; il progetto, nato inizialmente in Campania con lo scopo di individuare il nesso fra gli elevatissimi tassi di inquinamento ambientale di alcune zone del napoletano e del casertano (in particolare la cosiddetta Terra dei Fuochi) e il notevole aumento dell’incidenza di malattie cronico -degenerative, ha avuto nel tempo un notevole sviluppo ed è arrivato a coinvolgere diverse zone d’Italia e del vecchio continente. I vari specialisti che fanno parte del progetto (ricercatori del CNR, dell’Istituto Superiore di Sanità, di varie ASL, di centri universitari e di altri centri di ricerca) verificheranno sistematicamente, attraverso un’estesa gamma di esami, sia le eventuali associazioni fra l’accumulo di sostanze contaminanti nel sangue e nello sperma e i disordini qualitativi e quantitativi del seme maschile sia l’efficacia preventiva di determinati modelli alimentari e di un corretto stile di vita.

 

Inquinamento e fertilità femminile

L’inquinamento ambientale non nuoce soltanto alla fertilità maschile, ma anche a quella delle donne.

Uno studio del 2012 condotto dall’Institut Marquès de Barcelona su un campione di donne di età inferiore ai 40 anni ha mostrato una notevole correlazione fra inquinamento ambientale e infertilità femminile: l’80% delle donne con ciclo mestruale regolare non riescono a rimanere incinte a causa di tossine o altre sostanze inquinanti (diossine, pesticidi, fumo, piombo, idrocarburi ecc.) che si sono accumulate nel loro organismo con il passare degli anni; secondo lo studio, quindi, soltanto il 20% dei casi di infertilità femminile sarebbe attribuibile a fattori genetici.

La ricerca, coordinata dalla dottoressa Marisa López-Teijón, ha inoltre evidenziato che il rapporto fra inquinamento ambientale e infertilità è prenatale; ecco le parole della scienziata spagnola al riguardo: “Entro i primi cinque mesi il feto femmina già contiene tutta la sua riserva ovarica e se nel grasso della madre si accumulano troppe tossine questa riserva diminuirà e avrà una qualità inferiore”.

 

Inquinamento e fecondazione assistita

Infine, un altro interessante studio che mostra i deleteri effetti dell’inquinamento sulla fertilità è quello pubblicato nel 2018 da un’équipe sudcoreana su Human Reproduction.

I ricercatori della School of Medicine della CHA University e della clinica della fertilità CHA di Seoul, coordinati da Seung-Ah Choe, affermano che le donne che seguono cicli di fecondazione assistita potrebbero avere minori probabilità di rimanere incinte e di portare avanti un’eventuale gravidanza nel caso di esposizioni quotidiane a elevati livelli di inquinamento dell’aria (diossido di azoto, monossido di carbonio, particolato PM 10 ecc.). Gli scienziati hanno analizzato i tassi di gravidanza relativi a più di 6.600 cicli di fecondazione in vitro nell’arco di nove anni e hanno riscontrando tassi di concepimento ridotti nonché un incremento degli aborti spontanei nelle donne esposte ai massimi livelli di cinque tipi di inquinamento dell’aria.

 

 

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