3 Gennaio 2018 4 min di lettura
Inquinamento e polveri sottili. Ecco da dove cominciare per un futuro migliore secondo l’ultimo Rapporto sulla qualità dell’ambiente urbano
3 Gennaio 2018 4 min di lettura
Sono killer silenziosi, invisibili. Si posano sui muri, sulle foglie delle piante, entrano persino nei polmoni e nelle vene. Si misurano in milionesimi di metro e sono il nemico più temibile nei mesi invernali.
Poveri sottili, particolato atmosferico, Pm10 e Pm2,5: tutto quello che entra in circolo e fa male ai nostri polmoni. Basti pensare che l’Agenzia europea per l’ambiente ha stimato come in Italia, nel 2014, 50.550 morti premature siano attribuibili all’esposizione a lungo termine al Pm2,5.
La fotografia più completa dell’aria che abbiamo respirato nel 2016 e nei primi mesi del 2017 arriva dal Rapporto sulla qualità dell’ambiente urbano, presentato il 14 dicembre scorso nella sede romana dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale). Il report, che porta la firma del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, raccoglie i dati relativi a 119 aree urbane attraverso dieci aree tematiche, tra cui appunto la qualità dell’aria.
Per materiale particolato aerodisperso s’intende l’insieme delle particelle atmosferiche solide e liquide sospese in aria ambiente. Il Pm10 identifica le particelle di diametro aerodinamico inferiore o uguale ai 10µm.
Questo inquinante può avere sia origine naturale sia antropica: tra le sorgenti antropiche la maggiore responsabilità è da attribuire al traffico veicolare. Ma le particelle davvero capaci di superare le mucose delle vie respiratorie sono le Pm2,5. Sono più piccole, capaci di raggiungere gli alveoli dei polmoni, la parte più profonda. Come il Pm10, anche questo particolato è in parte emesso in atmosfera (Pm2,5 primario) e, in parte, è formato da reazioni chimiche fra altri inquinanti (Pm2,5 secondario). L’emissione diretta di particolato fine è associata a tutti i processi di combustione, in particolare quelli che prevedono l’utilizzo di combustibili solidi (carbone e legna) o distillati petroliferi con numero di atomi di carbonio medio-alto (gasolio e olio combustibile).
Sul banco degli imputati, dunque, finiscono i gas di scarico dei veicoli a combustione interna e i processi di combustione nell’industria, gli impianti per il riscaldamento domestico a petrolio, pellet o a legna (camini aperti).
35 è la soglia numerica che fa scattare il disco rosso per il Pm10: la direttiva 2008/50/CE e il decreto legislativo 155/2010 stabiliscono un valore limite annuale di 40 µg/m³ e un valore limite giornaliero di 50 µg/m³ da non superare più di 35 volte in un anno per il Pm10. Dopodiché, suona l’Sos per la nostra salute. Un allarme che nel 2016 è squillato in 33 aree urbane, nella maggior parte dei casi localizzate a Nord, con superamenti anche al Centro Sud e in Sicilia. Il maggior numero di superamenti giornalieri (85) si è registrato a Frosinone.
Puntando una lente d’ingrandimento su sette città capoluogo, tre a Nord, due nel Centro e due a Sud (Torino, Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Palermo), si scopre che solo Firenze conserva il bonus europeo dei 35 giorni, fermandosi a 26 giorni di concentrazione media giornaliera di Pm10 superiore a 50 µg/m³. Le altre città sono state invece tutte fuorilegge nel 2016. Le polveri sottili sono state la preoccupazione principale per gli abitanti di Torino con 75 infrazioni nell’arco di 365 giorni e a quelli di Milano, anche loro alle prese con livelli di smog altissimi (73 superamenti). Stesso copione di Milano a Venezia mentre scendendo lungo lo Stivale si allenta la morsa delle temibili particelle: se a Roma il limite di attenzione di 50 microgrammi per metro cubo di polveri giornaliere è stato superato per 41 giorni, a Napoli per 58 giornate di seguito e a Palermo per 45.
Nel 2017 è andata ancora peggio con il Pm10 con valori oltre la norma in molte città italiane: al 10 dicembre 2017, il valore limite giornaliero era stato oltrepassato in 34 aree urbane, gran parte di queste localizzate nel bacino padano. Ancora una volta, a indossare la maglia nera è Torino con il numero maggiore di superamenti giornalieri (103). Ma già nel primo semestre del 2017 era stata superata la soglia limite dei 35 giorni anche nell’agglomerato urbano di Milano (46) e Venezia (47). Si salvano Firenze (10), Roma (14), Napoli (22) e Palermo (15). Va meglio per il Pm2,5 che nel 2016 ha soffocato “solo” sette città (valore limite annuo 25 µg/m³): bocciate Milano e Venezia dove, rispettivamente, il valore medio annuo è stato di 29 e 27. Le particelle più piccole in assoluto hanno oltrepassato i livelli di guardia a Padova (30), Brescia (28), Cremona (27), Bergamo (27). Per quanto riguarda il 2017, sul Pm2,5 nessuna anticipazione ci arriva dall’ultima rilevazione Ispra.
Tra gli inquinanti atmosferici il particolato è quello con il maggior impatto sulla salute umana. Lo dimostrano anche i più recenti studi epidemiologici dell’Oms sugli effetti sanitari dell’inquinamento atmosferico: a rischio sono soprattutto gli anziani e i bambini che sviluppano precocemente malattie cardiovascolari, asma e tumori. Anche l’incremento di tumore polmonare è stato associato recentemente all’inquinamento ambientale, e in particolare alla frazione fine dell’aerosol: il materiale particolato aerodisperso è stato inserito dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro tra i cancerogeni di gruppo 1 (agenti cancerogeni per l’uomo). Ma conviene stare attenti anche al Pm2,5: date le ridotte dimensioni, una volta inalate, queste particelle penetrano in profondità nel sistema respiratorio umano e, superando la barriera tracheo-bronchiale, raggiungono la zona alveolare. Tuttavia, le concentrazioni medie annuali di polveri sottili sono nella maggioranza dei casi inferiori al valore limite di legge: episodi di superamento si segnalano per lo più nel bacino padano.
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