Le nostre azioni stanno distruggendo il mare

Ecco cosa è il Marine Litter e come risolverlo

Sono 11 milioni le tonnellate di plastica che ogni anno finiscono nei mari del mondo. Un dato che deve portare a riflettere sull’uso di questo materiale e su come cambiare le nostre abitudini. Se non affrontiamo l’emergenza del marine litter metteremo a rischio la nostra salute, la fauna marina e le future generazioni. 

Entro i prossimi 20 anni il volume dei rifiuti di plastica negli oceani triplicherà. La quantità di plastica che andrebbe in mare ogni anno potrebbe salire da 11 milioni di tonnellate a 29 milioni di tonnellate, lasciando un accumulo di 600 milioni di tonnellate nell’oceano entro il 2040, una quantità equivalente al peso di 3 milioni di balene.

Sono i dati della ricerca “Breaking the Plastic Wave”,  guidata dalla società di consulenza  The Pew Charitable Trusts e Systemiq.  La crisi del cosiddetto marine litter, ovvero l’insieme di rifiuti abbandonati o persi in ambiente marino e costiero, “non è il problema di un solo paese. È un problema di tutti, ha dichiarato Winnie Lau, senior manager di The Pew Charitable Trusts.

Fonte rapporto Breaking The Plastic Wave

All’interno della studio sono state delineate alcune linee per fronteggiare l’inquinamento dei nostri mari, come il reindirizzamento di centinaia di miliardi di dollari di investimenti dalla produzione di plastica alla produzione di materiali alternativi, oltre che impianti di riciclaggio ed espansione della raccolta dei rifiuti, soprattutto nei paesi in via di sviluppo.

I rifiuti più presenti nelle spiagge

Secondo l’ultimo report International Coastal Cleanup (ICC)  della The Ocean Conservancy, i dieci rifiuti più trovati sulle spiagge contengono tutti plastica.

E’ la prima volta nella storia di 33 anni dell’International Coastal Cleanup che il report  rileva un dato simile e così allarmante”, afferma Nicholas Mallos, direttore del programma Trash Free Seas di Ocean Conservancy.

In cima alla lista dei ci sono i mozziconi di sigaretta, che contengono filtri in plastica. Seguono  le bottiglie di plastica, i contenitori per alimenti, tappi di bottiglia, sacchetti per la spesa e cannucce.

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I tempi di decomposizione dei materiali più usati

I rifiuti abbandonati nell’ambiente richiedono dei tempi di decomposizione molto lunghi.  Disseminare nel nostro territorio oggetti difficilmente biodegradabili è un’azione che si ripercuoterà sulle generazioni future, procurando danni irreparabili per il nostro pianta. Ma quanto impiegano gli oggetti di uso comune a decomporsi?

  • Plastica: la decomposizione potrebbe durare anche 1000 anni (le stesse cannucce ci impiegano fino a 500 anni);
  • Polistirolo: circa 80 anni;
  • Alluminio: dai 20 ai 100 anni;
  • Mozziconi sigarette: fino a 2 anni;
  • Carta e cartone: un semplice tovagliolo di carta impiega 2 settimane, un giornale rimane in vita per 6 settimane. Mentre un fazzoletto di carta potrebbe rimanere in natura fino a tre mesi per la sua lavorazione a più strati. Il cartone viene riassorbito in 2 mesi;
  • Cotone: impiega circa 2 mesi per il suo processo biodegradabile. Se un guanto impiega il tempo minimo previsto una corda dello stesso materiale però potrà decomporsi in 14 mesi. Maglioni, guanti e giacche di lana da 1 a 2 anni;
  • Legno: si biodegrada in un tempo variabile tra 1 e 2 anni mentre il legno dai 10 ai13 anni).

Il pericolo delle microplastiche

Le microplastiche sono piccole particelle di materiale plastico dalle dimensioni estremamente ridotte, frammenti normalmente di misura millimetrica. Posso distinguersi in due categorie:

1) Microplastiche primarie: rilasciate direttamente nell’ambiente soprattutto nel lavaggio di capi sintetici, abrasione pneumatici durante la guida o microplastiche aggiunte intenzionalmente nei prodotti per la cura del corpo;

2) Microplastiche secondarie: prodotte dalla degradazione degli oggetti di plastica più grandi, come buste di plastica, bottiglie o reti da pesca (circa il 68-81% delle microplastiche presenti nell’oceano).

Le microplastiche rappresentano una delle sei emergenze mondiali dell’ambiente e sono letali per gli animali. Sono almeno 135 le specie marine mediterranee che ingeriscono oggetti di plastica o vi finiscono intrappolati. I piccoli frammenti vengono scambiati per cibo e finiscono così nello stomaco di pesci che muoiono soffocati o per blocco gastrointestinale.

Ma gli animali non sono gli unici a rischio. Secondo lo studio ‘No Plastic in Nature: Assessing Plastic Ingestion from Nature to People‘ ogni settimana, attraverso l’acqua del rubinetto o in bottiglia, con la birra, con i frutti di mare, il pesce o il sale, ingeriamo cinque grammi di plastica, ovvero l’equivalente di una carta di credito.

Le azioni per combattere il marine litter

Rivedendo le nostre azioni quotidiane possiamo combattere la crisi del marine litter. Cosa possiamo fare per il nostro ambiente?

1) Differenziare: una buona raccolta differenziata può già diminuire i rifiuti in mare di almeno il 35%;

2) Preferire bottiglie in vetro a quelle di plastica: nelle zone in cui è buona e controllata possiamo bere acqua del rubinetto e portare con noi un borraccia. In questo modo contribuiremo a fare a meno di 8 miliardi di bottiglie di plastica all’anno;

3) Piatti, bicchieri, posate e cannucce di plastica monouso: sono oggetti che si usano per pochi istanti ma possono inquinare per sempre. Meglio bicchieri e piatti compostabili o posate in bambù;

4) Non gettare nulla nel wc: bastoncini per la pulizia delle orecchie, blister dei medicinali, assorbenti e applicatori vengono scaricati direttamente in mare;

5) Buste di plastica: uno dei rifiuti galleggianti più diffusi e pericolosi per il mare  (messe al bando in Italia nel 2011). Quando vai a fare la spesa puoi anche portare con te una net beg (borsa a rete);

6) Evita gli imballaggi non sostenibili: al supermercato scegli le confezioni a minor impatto ambientale oppure fai la spesa nei negozi che vendono frutta e verdura o altri prodotti sfusi;

7) Non lasciare rifiuti sulle spiagge o nei parchi e dedica un minuto a raccogliere quelli che trovi abbandonati.

 

Immagine in evidenza: credit @Sam Hobson

 

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