Le proposte dell’Ispra contro l’inquinamento

Come si può migliorare la qualità dell'aria secondo, Alessandro Bratti, direttore dell'Ispra: "L'efficacia delle politiche locali rischia di venir meno senza un'azione di coordinamento territoriale"

contro l'inquinamento

Se c’è un termometro che misura la febbre della qualità dell’aria, quello si chiama Ispra. Ogni anno, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale elabora il Rapporto sulla qualità dell’ambiente urbano che dedica un focus specifico anche allo stato di salute dell’aria che respiriamo. “Misuriamo la febbre e possiamo anche misurarla molto bene. Qualcuno però deve decidere la medicina per curarla”. Parola del neo direttore dell’Ispra Alessandro Bratti, insediatosi il 15 dicembre scorso: ha fatto parte della commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera ed è stato il presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulle ecomafie. Lo abbiamo incontrato alla vigilia della presentazione del dossier sull’ambiente che si è svolta il 14 dicembre scorso.

 

Tre mosse per una nuova strategia nazionale sulla qualità dell’aria, secondo il direttore di Ispra.

Innanzitutto, sono fondamentali le politiche urbane. Oggi più che mai servono interventi come il potenziamento del trasporto pubblico locale, lo svecchiamento del parco auto circolante e tutte le politiche di contenimento delle emissioni provenienti dalle attività civili. E poi, politiche che abbiano come tema l’efficienza energetica e la necessità di intervenire sui processi industriali contro la produzione di biossido di azoto. Ma tutto questo rischia di non bastare.

 

A cosa si riferisce, in particolare?

Se è vero che alcune decisioni devono essere adottate a livello locale, senza coordinamento a livello territoriale l’efficacia di queste politiche rischia di venire meno. A poco serve avere un Comune virtuoso se appena fuori dai suoi confini la qualità dell’aria rimane pessima. Per questo è necessario coordinare tutte le politiche necessarie per contrastare l’inquinamento dell’aria. Piano piano ci si sta arrivando, soprattutto nell’area padana.

 

Alessandro Bratti

Alessandro Bratti, direttore dell’Ispra

 

Una zona geografica in cui, un giorno sì e uno no, si leggono bollettini allarmanti.

Tuttavia, le regioni che fanno parte del bacino padano hanno iniziato a intraprendere politiche di coordinamento: il livello centrale è fondamentale, serve un indirizzo molto forte in questa direzione.

 

Veniamo al rapporto sulla qualità dell’ambiente urbano. Com’è l’aria che respiriamo?

Qualche miglioramento c’è stato e abbiamo notato una diminuzione del trend degli inquinanti principali. Per quanto riguarda le polveri Pm 2.5, le più pericolose per la salute, le situazioni non sono tali da poter parlare d’inversione di tendenza. Occorre intervenire in modo più drastico ed efficiente. Del resto, noi come Ispra misuriamo la febbre, possiamo anche misurarla molto bene ma qualcuno deve decidere con quale medicina curarla. Sul rimedio, a mio parere, siamo un po’ indietro.

 

 Ciclisti in mezzo al traffico

 

Come siamo messi invece con le Pm10?

Si assiste a una progressiva riduzione delle particelle inquinanti nell’aria. L’ultima edizione del rapporto contiene inoltre un focus specifico sull’inquinamento indoor, quello degli ambienti. Sono gli inquinanti non presenti nell’aria esterna cui facciamo difficilmente riferimento quando parliamo di qualità dell’aria. Massima attenzione sul radon, sostanza di origine naturale con effetti devastanti sulla salute come l’insorgenza di tumori polmonari.

 

Ogni giorno si rincorrono gli allarmi sull’inquinamento atmosferico nelle nostre città. Manca una visione globale dell’informazione sui temi ambientali?

Ha perfettamente ragione ma esiste una legge, la numero 132 del 2016, che istituisce la rete delle agenzie composta da Ispra, Arpa e Appa. Viene sancito come l’unico dato ufficiale di carattere ambientale sia quello che proviene dal sistema di Ispra e delle agenzie. Il nostro sforzo è quello di comunicare con maggiore efficienza ed efficacia in una società che tende a semplificare molto. Oggi con un tweet si vuole racchiudere un messaggio in pochi caratteri, non si ha più la pazienza di leggere. Ma se non viene bene spiegato, un dato rischia di essere interpretato male. È un problema che riguarda l’informazione in generale e ancora di più quella scientifica.

 

Maria Lardara

®Eco_Design WebMagazine

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