Lotta all’anidride carbonica, una sfida ancora aperta

Cattive notizie per la qualità della nostra aria. Secondo il rapporto “ Global Energy and CO2 Status Report, 2017” diffuso dall’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) le emissioni di Co2 nel mondo sono aumentate dell’1,4%, pari a 460 milioni di tonnellate.

Si tratta del dato più alto degli ultimi 15 anni, anche se vengono registrati esempi positivi di sostenibilità fra singoli paesi. L’aumento di anidride carbonica è la conseguenza del massiccio utilizzo del combustibile e carburante fossile come il petrolio o addirittura il carbone. Potenze come gli Stati Uniti e la Cina hanno aumentato la produzione di energia rinnovabile come il fotovoltaico o l’eolico, ma rimane ancora molta strada da fare.

I rischi dell’aumento

Lo studio dell’Aie evidenzia che nel 2017 è aumentata la domanda di energia del 2,1%, rispetto a una media dello 0,9% degli ultimi cinque anni. Questa crescita si è registrata in paesi con un forte sviluppo economico come l’India e la Cina e nazioni in via di sviluppo del continente africano. Per rispondere a questa richiesta però si sono usate le energie fossili, ossia il 70% della produzione di energia complessiva. L’anidride carbonica presente nell’aria trattiene il sole, provocando l’effetto serra e l’innalzamento della temperatura del pianeta. Oltre allo scioglimento di ghiacciai e la conseguente salita del livello del mare, l’anidrire carbonica causa danni a chi la respira. Per l’Organizzazione mondiale della sanità  l’aria inquinata  ha causato più di 7 milioni di morti nelle 4.300 città campionate in cento Paesi diversi, provocando il 24% di tutte le morti per attacco cardiaco, il 25% degli ictus letali, il 43% delle morti per malattie polmonari ostruttive e il 29% dei tumori al polmone.

L’aria di casa nostra

Se nel mondo esistono esempi negativi di emissioni di Co2, da noi non siamo messi poi così meglio. Nell’Unione Europea le combustioni da fonti fossili sono aumentate dell’1,8% e in Italia sono salite del 3,2%. Segno che ancora resta molto da fare in termini di sensibilizzazione sulle fonti rinnovabili e i loro benefici. Peggio dell’Italia solo Malta (+12,8%), Estonia (+11,3%), Bulgaria (+8,3%), Spagna (+7,4%) e Portogallo (+7,3%). Bene i paesi dell’Europa del nord, dove la scelta delle energie alternative è ormai una caratteristica tradizionale. In Danimarca dove gli impianti eolici producono metà del fabbisogno del paese, le emissioni sono calate del 5,9%. Un dato positivo per il Belpaese riguarda le emissioni derivanti da veicoli a benzina e gasolio, diminuite proprio nei primi mesi di quest’anno.

Eppure c’è chi sottovaluta

Per ridurre le emissioni di Co2 non basta l’impegno dei singoli, ma servono norme per la collettività. Il protocollo di Kyoto realizzato nel 1997 è stato un primo passo per una presa di coscienza del cambiamento climatico. Nel corso degli anni molte nazioni hanno aderito, sottoscrivendo programmi per la riduzione di anidride carbonica. Dopo la Conferenza delle parti di Parigi del 2015, l’ultima tappa per la lotta all’inquinamento atmosferico è stata la Cop 23 di Bonn svoltasi nel 2017 con l’obiettivo di ridurre le emissioni da qui al 2020. Il ritiro degli Stati Uniti dai patti ha scatenato molte reazioni contrarie da parte di politici e scienziati col rischio di vanificare gli sforzi fatti. Cina e India, paesi dove si sono registrati i valori più alti di valori di Co2, hanno rinnovato la propria adesione. Nonostante gli esiti del surriscaldamento climatico siano sotto gli occhi di tutti, c’è ancora chi fa finta di non vederli. Ad oggi associazioni e imprese produttive risultano più sensibili di alcuni potenti del mondo.

 

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