21 Maggio 2020 4 min di lettura
Il decennio tra il 2010 e il 2019 è stato il più caldo mai registrato. Il 2019 detiene il record assoluto in Europa, con tutte le conseguenze del caso. Un trend da interrompere subito con un’azione concreta e globale.
La crisi climatica innescata dal riscaldamento globale non è più soltanto una minaccia da scongiurare, ma una triste realtà. Con tutte le conseguenze e i rischi ambientali, sanitari ed economici che ne derivano.
A confermarlo anche il report dell’organizzazione meteorologica mondiale, che ha stilato un “bilancio” del decennio 2010-2019, dichiarandolo “il più caldo della storia post-industriale” da quando vengono effettuate misurazioni con regolarità. Non solo. Gli ultimi cinque anni sarebbero a loro volta i più caldi mai registrati, con uno scarto compreso tra +1,1 ± 1,2°C, sempre rispetto all’era pre-industriale (approssimata con una linea di riferimento che va dal 1850 al 1900).
Arrivando al 2019, l’analisi mostra che la temperatura media globale è salita di 1,1°C, portando l’anno passato a classificarsi come il secondo più caldo mai registrato nel mondo e il più caldo in assoluto registrato in Europa. A batterlo per un soffio (appena 0,04°C in più) fu solo il 2016, quando la temperatura media globale subì l’eccezionale’influenza di El Niño (un fenomeno climatico periodico che provoca un forte riscaldamento delle acque dell’Oceano Pacifico Centro-Meridionale e Orientale).
In Europa, come detto, è invece proprio il 2019 a detenere il triste primato, secondo quanto registrato dai dati raccolti dal Copernicus Climate Change Service. L’analisi indica come le due grandi ondate di calore registrate durante l’estate abbiano contribuito ad aumentare il livello di siccità in Europa centrale,
mentre eventi di forti piogge si sono verificati nell’Europa occidentale e meridionale verso la fine dell’anno. Fenomeni di portata eccezionale, che hanno avuto conseguenze sulla vegetazione e portato a livelli elevati di stress termico gran parte dell’Europa occidentale.
La temperatura media globale non è l’unico indicatore in grado di descrivere il cambiamento climatico in atto.
Per fornire un quadro generale bisogna tenere in considerazione la composizione dell’atmosfera, la concentrazione dei gas serra, il calore oceanico, il livello globale dei mari, l’acidificazione degli oceani, l’estensione del ghiaccio marino e la massa delle calotte glaciali.
I dati più recenti relativi a tutti questi indicatori climatici mostrano valori in linea con le tendenze degli ultimi decenni, con i gas serra in continuo aumento, un assottigliamento dei ghiacci polari e un conseguente innalzamento del livello del mare.
Un dato significativo riguarda la temperatura degli oceani, che nel 2019 ha raggiunto livelli record. Nostro prezioso alleato nell’opera di mitigazione climatica, l’oceano riesce infatti ad assorbire circa il 90% del calore intrappolato in atmosfera a causa dell’effetto serra. Ma quest’azione ha a sua volta una grave conseguenza che è in continuo aumento dalla fine degli anni ’80: l’acidificazione degli oceani stessi. La CO2 assorbita dalle acque ne diminuisce infatti il pH, con gravi danni per esempio sulle barriere coralline, sempre più sbiancate e indebolite.
Quelle elencate sono solo alcune delle tante conseguenze del cambiamento climatico, che porta a inondazioni, siccità, fenomeni meteorologici estremi, estinzione di specie animali e gravi rischi sulla sicurezza alimentare e sulle migrazioni delle persone. Dove il clima si trasforma, rendendo inospitale e infruttuosa la terra, i popoli, infatti, sono costretti a spostarsi. “Tra gennaio e giugno del 2019 – si legge nel rapporto dell’Omm – ci sono stati 10 milioni di nuovi spostamenti interni. Con le relative necessità umanitarie e di protezione”.
Per tutte queste ragioni l’umanità intero oggi è chiamata a non abbassare la guardia. Specialmente in vista della ripartenza dopo l’emergenza sanitaria ed economica provocata dalla pandemia di Covid-19.
Per risollevarsi i Paesi non dovranno cedere alla tentazione di ignorare gli ultimatum lanciati dal pianeta, in nome di una repentina ripresa. Il 2020, invece, dovrà essere più che mai l’anno di svolta e dell’azione concreta. Ogni possibile sforzo dovrà essere messo in campo per tenere l’innalzamento delle temperature ben al di sotto dei 2 gradi centigradi (e possibilmente non superando gli 1,5) entro fine secolo, come stabilito dall’Accordo di Parigi.
Per farlo “basterà” fare fronte comune, inseguendo seriamente gli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e rispettando i Green Deal.
Una sfida comune con una posta in gioco che riguarda tutta la specie umana e passa attraverso le scelte di ciascuno di noi.
Alice Zampa
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