Smaltire i rifiuti con i termovalorizzatori? Qualcuno dice “NIMBY”

Prevenire la protesta che frena lo sviluppo

La produzione di rifiuti da parte dell’uomo costituisce un’inevitabile conseguenza delle attività che esso svolge. In un primo momento, è stata la direttiva 2000/76/CE[1] a disciplinare la gestione dei rifiuti in Europa, tracciando delle linee guida e delineando un programma di riduzione delle emissioni di inquinanti, quali gli ossidi di azoto, il biossido di zolfo, i metalli pesanti e le diossine, prodotti durante i processi di smaltimento.

In termini di qualità dell’aria, la direttiva 2000/76/CE si poneva anche l’obiettivo di proteggere la salute dei cittadini dall’ inquinamento atmosferico. Infatti, ai fini di preservare l’ambiente e tutelare la salute umana è necessario, predisporre e mantenere condizioni di funzionamento, requisiti tecnici e valori limite di emissione rigorosi per gli impianti di incenerimento e co-incenerimento dei rifiuti.

La direttiva 2000/76/CE è stata, poi, sostituita dalla direttiva 2008/98/CE[2], adottata in Italia con il D.lgs. 03/12/2015 n.133: la rilevanza di codeste normative risiede nell’ aver sottolineato l’importanza di attività quali prevenzione, riutilizzo, riciclo e recupero di altro tipo intendendo, in tal senso, il recupero di energia. Il processo di termo valorizzazione, difatti, fa sì che tutto ciò che viene acquistato, utilizzato e poi gettato via, possa divenire una risorsa per la società. I termo valorizzatori, di fatto, altro non sono che inceneritori: i primi, però, sono in grado di sfruttare il vapore derivante dall’ incenerimento di rifiuti solidi per generare calore riscaldare acqua e, infine, produrre energia elettrica.

 

Recentemente, la Commissione Europea ha adottato un parere rivolto al Parlamento europeo ed al Consiglio, il 26/01/2017 in cui ha ribadito e sottolineato l’importanza che la termo valorizzazione occupa nell’ Economia circolare, consentendo, dunque, di dare “una nuova vita” al rifiuto. Tratto fondamentale è che tutto ciò avvenga, sempre, nel rispetto e nella tutela dell’ambiente; finalità, questa, perseguita dalla maggior parte delle normative attualmente vigenti nel nostro Paese: tale, ad esempio, il Decreto legge n.133/2014 che individua la capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani, prevedendo limiti e condizioni in modo da prevenire e ridurre eventuali impatti ambientali. Ciò anche per fronteggiare le diffuse forme di opposizione che, soprattutto in tempi più remoti hanno, in molti casi, osteggiato la realizzazione di impianti come i termo valorizzatori . Tali forme di opposizione erano talmente diffuse che si avvertì la necessità di dare loro un nome: l’esempio più noto è il fenomeno detto “NIMBY”. NIMBY è l’acronimo del “Not in my backyard” (Non nel mio giardino), a sostegno del fatto che chi si oppone ai termo valorizzatori riconosce l’efficienza di tali impianti ma non vuole che gli stessi vengano realizzati, appunto, nel proprio giardino.

 

NIMBY è stato lo slogan che ha comportato la sospensione di molti progetti di realizzazione di impianti. Quando, ad esempio, nel 1992, la Fiat, con il cosiddetto “progetto Fenice”, decise di localizzare un termo valorizzatore, in provincia di Biella, per i propri rifiuti industriali. Sorse un’immediata reazione delle comunità locali e, nonostante nel 1995 il progetto superò la valutazione d’impatto ambientale, la Fiat ritenne non opportuno sfidare l’opposizione locale rinunciando, così, al progetto.

 

Il motivo delle opposizioni è, in genere, incentrato su aromi ambientali, toni paesaggistici o paure per la salute e forse una mancata conoscenza della situazione reale. A tal proposito, l’Osservatorio Nimby Forum mette, dal 2004, sotto la lente di ingrandimento un settore della società italiana: quello delle infrastrutture e delle grandi opere pubbliche, un ambito in cui si intrecciano i settori attivi della stessa, ovvero i cittadini, la politica e le imprese. L’Osservatorio analizza la percezione del fenomeno delle contestazioni territoriali alle opere di grande utilità, mediante il monitoraggio dei media; sono stati rilevati, nel 2016, 359 casi di opposizione contro opere di pubblica utilità ovvero contro progetti di nuovi impianti ed è stato confermato che il comparto energetico e quello dei rifiuti siano al centro delle polemiche del “NO GRAZIE!”: in particolare, ad essere presi di mira sono termo valorizzatori e biodigestori, che rappresentano rispettivamente il 10,5% e il 16,9% del totale delle opere contestate.

 

Per far rientrare nella stessa prospettiva esigenze di sviluppo sostenibile e una corretta gestione delle fonti energetiche rinnovabili, incontrando al contempo il consenso della popolazione, l’attuale Codice dell’Ambiente, il D.lgs. n.152/2006[3], disciplina i procedimenti valutativi ed autorizzativi che precedono la realizzazione di un impianto, prevedendo l’attiva partecipazione del cosiddetto “pubblico interessato”, ovvero di tutti coloro che possano essere portatori di un interesse in tal senso, così da migliorare in primis il rapporto tra istituzioni e cittadini; si tratta di promuovere iniziative di comunicazione cosicché ognuno abbia a disposizione più informazioni possibili e abbia la possibilità di dire la propria. Ai sensi del suddetto Codice, questa inclusione deve avvenire nella fase iniziale dei procedimenti amministrativi che precedono la realizzazione di un impianto cosicché, nel caso in cui dovessero sorgere delle contestazioni, queste possano essere risolte nel corso della procedura e non solo dopo aver adottato una decisionale finale. Ciò comporta la necessità di un diverso ruolo ricoperto dalle istituzioni: non più autoritativo ma di coinvolgimento e coordinamento. Attuando processi di inclusione che consentano ai cittadini di ricevere informazioni chiare e corrette, si andrebbe a limitare l’insorgere di contestazioni spesso legate a paure, lecite ma, non sempre motivate.

 

In tal senso, nel corso del tempo, si sono registrate anche buone pratiche: la TRM (Trattamento rifiuti metropolitani) S.p.A. è una società, nata nel 2002, con il compito di occuparsi della progettazione, realizzazione e gestione degli impianti per il recupero, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti; essa, nel 2005 ha ottenuto l’affidamento per lo svolgimento di tali attività a servizio della zona Sud nella provincia di Torino. Sin da subito, però, TRM ha iniziato a svolgere attività di informazione, coinvolgimento della popolazione, instaurando un dialogo con i soggetti portatori di un interesse, operando in modo trasparente, promuovendo molte iniziative di comunicazione circa le notizie relative all’ impianto: ad esempio l’iniziativa chiamata “Terra- Terra” del 2006, ideata con lo scopo di parlare con chiarezza ai cittadini che, pur senza possedere una preparazione specialistica, volessero essere informati e attenti a valutare attentamente questioni che potessero riguardarli da vicino.

 

Il promotore ha scelto di parlare agli stakeholder in prima persona, accantonando un approccio di tipo promozionale relativo all’ impianto e preferendo discutere, per quanto possibile, dei “temi caldi” che il progetto di un termo valorizzatore normalmente può sollevare, in modo da porre le basi per la necessaria costruzione di un solido rapporto di fiducia con l’opinione pubblica locale.

 

 

Clementina Palma

®Eco_Design WebMagazine

 

 

 

[1] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A32012L0027

 

[2] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=celex%3A32008L0098

 

[3] http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2006-04-14&atto.codiceRedazionale=006G0171

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