Bottiglie di plastica, ecco perchè i tappi restano attaccati

In arrivo una nuova direttiva per contrastare l'inquinamento causato dalla plastica monouso

tappi bottiglie plastica

 Perché i tappi non si staccano più dalle bottiglie di plastica? In arrivo una nuova direttiva per tutelare l’ambiente e contrastare l’uso di plastica monouso.

Da qualche tempo sono in circolazione bottiglie di plastica con tappi agganciati, ovvero che non si staccano una volta svitati. Questo perchè, a partire dal 3 luglio 2024, sarà obbligatorio che tutte le bottiglie in PET (polietilene tereftalato) entro i 3 litri debbano obbligatoriamente essere dotate dei cosiddetti “tethered cap, ovvero i tappi agganciati alla bottiglia. Tale direttiva proviene dalla Commissione europea e si tratta di nuova regola volta a ridurre l’inquinamento ambientale. Se il tappo non si stacca è più difficile che questo venga disperso nell’ambiente una volta che la bottiglia viene buttata via.

L’obiettivo di questa regola è contrastare l’uso di plastica monouso e contemporaneamente ridurre la dispersione di plastica nell’ambiente. I dati evidenziano che l’85% dei rifiuti trovati nei mari e sulle spiagge europee è costituito da plastica, di cui il 50% è monouso. Questa direttiva segue la direzione delineata nell’Agenda 2030 dell’ONU, che promuove l’economia circolare. Tra gli obiettivi futuri, vi è la produzione di bottiglie fino a tre litri, con una percentuale del 25% di plastica riciclata entro il 2025, destinata ad aumentare al 30% entro il 2030.

Plastica nel mare: lo studio del WWF

Uno studio del WWF riporta che entro il 2050 la plastica quadruplicherà negli oceani, compromettendo ulteriormente la vita degli animali che vi abitano. Intrappolamento, ingestione, soffocamento, sono questi alcuni dei pericoli per l’ecosistema marino.

Le microplastiche, particelle di materiale plastico con dimensioni inferiori a 5 millimetri, oltre ad essere dannose per ambiente e animali, lo sono anche per la salute dell’uomo. Negli ultimi anni diversi studi hanno portato alla scoperta delle microplastiche nel cuore, nel sangue, nelle urine e persino nella placenta umana. Ciò dimostra come queste minuscole particelle possono entrare nel corpo umano attraverso bocche, nasi e altre cavità del corpo con collegamenti con il mondo esterno.

“Ogni settimana possiamo ingerire oltre 5 grammi di microplastiche (l’equivalente di una carta di credito) – riporta Wwf Italia – attraverso l’aria, acqua, frutta, verdura, pesci e molluschi, soprattutto quelli che si mangiano interi. Le microplastiche sono di conseguenza state ritrovate nelle feci umane (anche quelle dei bambini), nella placenta e recentemente anche nel sangue e nelle aree profonde dei polmoni”.

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