Il business che dà valore all’ambiente: Nativa e la rivoluzione B Corp

Intervista con Paolo Di Cesare, cofounder della prima Società Benefit in Europa e la prima Certified B Corporation® in Italia che aiuta le altre aziende ad andare oltre il profitto

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Sono aziende diverse dalle altre. Si definiscono “le migliori per il mondo” anziché “le migliori nel mondo”. Sono la punta di diamante del movimento globale che promuove la sostenibilità l’impatto ambientale  come obiettivo aziendale. C’è un’azienda però che è diventata B Corp prima di tutte e oggi aiuta le altre a diventare Benefit Corporation.
Si chiama Nativa, ha sede a Milano e l’hanno fondata nel 2012 Paolo Di Cesare ed Eric Ezechieli. La loro storia è la dimostrazione di ciò che “sembra impossibile, finché non lo crei”, come recita lo slogan di Nativa sul sito. E in effetti i due imprenditori sono partiti da zero, riuscendo a fondare la prima B Corp in Italia e in Europa. Oggi se ne contano un centinaio nel Belpaese, oltre 300 in Europa. Ma Nativa ha fatto di più: ha collaborato con il Senato per l’introduzione della legge sulle Società Benefit.
La Benefit Corporation non è altro che una società for profit che ha nel suo Dna i valori del non profit. A Paolo Di Cesare, cofounder di Nativa, abbiamo chiesto di raccontarci la storia della loro “creatura” aziendale che promuove il concetto di sostenibilità e lo sviluppo verso fini più alti.

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Paolo Di Cesare durante la partecipazione al festival Terra Madre di Slow Food
ph. journal.nativalab.com

 

Come nasce la storia di Nativa?
Ci occupavamo già di sviluppo sostenibile da tanti anni attraverso la rete globale The Natural Step nata in Svezia nel 1989. Concetti che spiegavamo nelle principali scuole e università italiane (Bocconi, Sapienza, Ca’ Foscari, ndr). A un certo punto però io e il mio socio Eric abbiamo iniziato a ragionare su come creare una società con una duplice finalità, for profit e non profit. Come creare una realtà del genere? Poi ci siamo imbattuti in un articolo della rivista Harvard Business Review. L’abbiamo letto tutto d’un fiato.

Cosa c’era scritto?
Parlava di aziende che possano avere una duplice finalità. Lo scopo delle B Corporation è il profitto e, contemporaneamente, un positivo impatto sociale e ambientale nell’esercizio delle attività economiche. Era il novembre 2011. Ci siamo subito detti: “Ma questi siamo noi”. Da lì siamo partiti.
Dal punto di vista giuridico avete trovato degli ostacoli per fondare una B Corp?
Eccome. Per scrivere lo statuto di Nativa ci siamo ispirati alla legge americana dello Stato della California. Nell’oggetto sociale occorreva riportare la finalità di bene comune da perseguire. Siamo andati dal notaio e alla Camera di commercio di Milano che ci ha bocciato per quattro volte lo statuto: non potevamo scrivere qualcosa di diverso dal profitto nell’oggetto sociale. Abbiamo messo in piedi la nostra prima società benefit ante litteram perché non esisteva ancora il modello legale.

Che cosa vi distingueva come B Corp rispetto alle altre società?
Usammo lo strumento d’impatto internazionale B Impact Assessment, uno standard che dà un punteggio fra zero e 200 punti: se superi la soglia di 80 punti significa che stai restituendo come società più di quanto prendi per funzionare. Sei un’azienda rigenerativa e non estrattiva, ovvero quella che estrae valore dalla società e dal pianeta e lo accumula nelle mani di poche persone.

E voi avevate tutte le carte in regola per partire come B Corp…
Dimostrammo di avere 102 punti. Ma avevamo uno statuto “fuorilegge” non riconosciuto in Italia, così decidemmo di svolgere un’attività ulteriore dando impulso a quell’attivismo che ogni azienda dovrebbe sviluppare.

Il decreto legge sulle Società Benefit è dell’aprile 2015.
L’abbiamo promosso noi. Ci furono colloqui con partiti, ci siamo fatti invitare alla Leopolda e abbiamo portato il tema delle benefit corporation all’attenzione dei nostri rappresentanti politici e istituzionali entrando nei vari gruppi di lavoro. In 14 mesi l’Italia è diventata il primo Paese al mondo, dopo gli Stati Uniti, ad adottare una legge sulle Società Benefit. A quel punto eravamo diventati ufficialmente una Società Benefit. Cambiando legge, il nostro profilo differente è stato riconosciuto. Non solo. Nel 2013 l’ente non profit americano B-Lab ci ha eletto come “country partner” per l’Italia. Oggi rappresentiamo l’organizzazione mondiale della community di aziende che sono spinte dal concetto che non si può essere “migliori nel mondo” ma “migliori per il mondo”.  In pratica, coordiniamo le attività di B-Lab in Italia.

Può spiegare meglio l’impegno con le “migliori aziende per il mondo”?
Nativa aiuta non solo le aziende, ma anche i Comuni a sviluppare una visione di sostenibilità e a raggiungerla nel tempo, possibilmente nel più breve tempo possibile.

Cosa significa, esattamente, “nel più breve tempo possibile”?
Fino a qualche anno fa si parlava di 15 anni, oggi la visione di sostenibilità può essere raggiunta in tre. Un’accelerazione dei tempi dovuta anche per quel senso di urgenza che tutto il tema di sostenibilità porta nelle persone. Ci si rende conto che bisogna darsi da fare rapidamente e per questo s’è accorciato l’orizzonte temporale rispetto al quale ci si pone.
Dunque il vostro è un ruolo di informazione e promozione verso le imprese.
Esatto. Le aiutiamo a raggiungere lo status di B Corp certificato da un ente internazionale come B-Lab,  impegnandoci ogni giorno nella promozione a 360 gradi del movimento B Corp.

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Il team di Nativa

 

Un esempio concreto di buona pratica
Uno dei nostri clienti più importanti è Oviesse, il più grande venditore in Italia di cotone: non è una B-Corp, ma ha intrapreso insieme a noi un importante percorso verso la sostenibilità. Cotone che fino a qualche anno fa era prodotto da coltivazioni convenzionali che prevedevano l’abuso di pesticidi. Oggi Oviesse è in procinto di passare dallo zero al 70% di cotone vicino alla certificazione bio. Così quello determinato da Nativa, attraverso le proprie competenze e grazie all’allineamento straordinario dei vertici di Oviesse, è un impatto ambientale importante sul pianeta.

Come possono collaborare fra loro le B Corp e con le altre realtà esistenti con la stessa mission?
La sinergia è nel loro Dna. Quando una società diventa B Corp firma un documento contenente una dichiarazione di interdipendenza che impegna alla collaborazione reciproca. Il nostro compito semmai è creare le condizioni perché si instaurino relazioni dirette, come dimostra l’ultimo summit svoltosi a Bologna alla fine di novembre (cui ha partecipato anche ANTER per il settore delle energie rinnovabili, ndr)

2030, punto di non ritorno della Terra: cosa possono fare le persone nella loro quotidianità per invertire la rotta?
Sappiamo quanto l’umanità non si sia attivata abbastanza affinché questa deadline venga scongiurata. Mi viene in mente una metafora, quella della Terra come un’astronave. Un sistema chiuso per materia e aperto per energia. Come nei film di fantascienza, quando si accende una spia di allarme tutto l’equipaggio dell’astronave inizia a muoversi con risolvere il problema. Ecco, sul nostro pianeta abbiamo varie spie che si sono accese e l’equipaggio dei suoi abitanti si sta attivando. Esiste un tema legato alla consapevolezza e alla responsabilità di ogni singola persona. Nativa ha deciso di concentrarsi in una delle forze più grandi che l’uomo ha inventato, ovvero il fare impresa. Se riusciamo a far evolvere le imprese verso una direzione più alta modifichiamo una delle più grandi forze presenti sulla Terra e possiamo dunque accelerare questo cambiamento. E anche all’interno dei luoghi di lavoro, tutti dovrebbero diventare attivisti e ambasciatori di un messaggio di cambiamento.

 

Nella foto di copertina: i fondatori delle B Corp Italia 

 

Maria Lardara
®Eco_Design WebMagazine

 

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