Plastiche biodegradabili e packaging sostenibile, un trend in crescita

L’emergenza globale legata ai danni e all’inquinamento causato dalla plastica sta favorendo il mercato della bioplastica. A mostrarlo e a tracciare una previsione è uno studio americano di R Reports and Data

I livelli record di inquinamento da plastica nei mari, così come sulla terraferma (inclusi i ghiacciai) hanno fatto aumentare il grado di consapevolezza generale circa la necessità di ridurre sempre di più la nostra dipendenza da questo materiale altamente dannoso per l’ambiente e, più in generale, da tutti i combustibili fossili.

Basti dire che ogni anno finiscono nei mari d’Europa tra le 150 e le 500 mila tonnellate di macroplastiche e tra le 70 e le 130 mila tonnellate di microplastiche; mentre le spiagge europee vengono puntualmente sommerse da oltre 11 mila tonnellate di rifiuti.

Questa presa di coscienza sta favorendo sempre di più il mercato del packaging sostenibile e delle plastiche biodegradabili, che secondo i consulenti di R Reports and Data crescerà in modo esponenziale entro il 2026, con un tasso annuo di crescita composto del 19,9%.

In questo scenario anche le scelte politiche si stanno orientando verso una “penalizzazione” della pastica tradizionale. In Italia il governo ha recentemente inserito la plastic tax nel programma della Legge di Bilancio 2020 (che dovrà essere approvata entro il 31 dicembre 2019), con l’intenzione di tassare la plastica monouso proprio per spingere la collettività a ridurne sempre di più l’utilizzo. Di altro avviso è però Confidustria, secondo cui questa tassa graverebbe pesantemente sul comparto, danneggiando le imprese e i lavoratori (il rischio è la delocalizzazione), senza effettivi benefici ambientali.


Bioplastica, cos’è e come si smaltisce

La bioplastica è un tipo di plastica che può essere biodegradabile, a base biologica o possedere entrambe le caratteristiche. Prodotte con materiale organico e senza utilizzare derivati del petrolio, le bioplastiche sono ottenute da fonti di biomassa che sono rinnovabili in natura, come amido di mais, rifiuti alimentari, grassi e oli vegetali, frumento, barbabietola ecc. Le bioplastiche sono generalmente prodotte con derivati ​​dello zucchero costituiti da cellulosa, amido e acidi lattici.

Molto simile alla plastica sintetica tradizionale, sia per leggerezza che resistenza, la bioplastica è biodegradabile al 100% e può essere decomposta dagli agenti naturali presenti sulla terra o nell’atmosfera in tempi molto più rapidi e con minore conseguenze sull’ambiente. In genere, si dissolve nell’ambiente in 4-5 anni, a seconda della sua composizione chimica, senza lasciare sostanze residue inquinanti e quindi con un impatto ambientale infinitamente minore rispetto alla plastica tradizionale.

Bioplastica, un trend in crescita. Ma c’è un problema

Come riportato dal network European Bioplastics, le bioplastiche “rappresentano circa l’1% dei circa 335 milioni di tonnellate di plastica prodotta ogni anno. Ma poiché la domanda è in aumento e con biopolimeri, applicazioni e prodotti più sofisticati emergenti, il mercato è in continua crescita”.

A confermare il trend anche l’analisi di R Reports and Data, secondo cui il mercato globale degli imballaggi in bioplastica vale 5649,5 milioni di USD (dollari americani) nel 2018 e dovrebbe raggiungere i 24289,9 milioni di USD entro il 2026, con un tasso annuo di crescita composto (Compound Annual Growth Rate – CAGR)  del 19,9%.

In Italia, nel 2018, in base ai risultati dello studio effettuato da Plastic Consult (società indipendente che svolge studi e analisi di mercato nel settore delle materie plastiche), l’industria delle plastiche biodegradabili e compostabili è rappresentata da 252 aziende, con 2.550 addetti dedicati per 88.500 tonnellate di manufatti compostabili prodotti in Italia e un fatturato complessivo di 685 milioni di euro. Un fatturato che nel corso degli ultimi anni, è passato da poco meno di 370 milioni di euro del 2012 ai 685 milioni di euro nel 2018, con una crescita media annua di circa l’11%.

Se di per sé l’espansione del mercato del packaging sostenibile e delle plastiche biodegradabili è senza dubbio un dato positivo, esistono alcuni nodi da sciogliere relativi allo smaltimento.

Questi materiali, essendo biodegradabili, vanno differenziati insieme ai rifiuti organici. Non tutte le strutture di gestione di questi ultimi, però, risultano in grado di smaltirli adeguatamente, trovandosi per esempio a doverli gestire alla stregua di rifiuti non differenziabili. Si tenga conto anche che i tempi di degradazione delle bioplastiche sono diversi da quelli dell’umido.

Temi da tenere in alta considerazione in un Paese come il nostro, che, tra le altre cose, risulta essere uno dei principali consumatori mondiali di acqua in bottiglia. La conversione alla bioplastica andrebbe dunque agevolata, in un’ottica di maggiore sostenibilità e a beneficio nostro e del pianeta.

 

Alice Zampa

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