12 Febbraio 2018 3 min di lettura
La stilista inglese, regina del punk, è un'attivista di prima linea della green economy
12 Febbraio 2018 3 min di lettura
Dal 1971 – anno in cui aprì il suo primo negozio al 430 di King’s Road insieme a Malcolm McLaren, futuro manager dei Sex Pistols – è una delle personalità più incisive e controcorrenti della moda. La regina inglese del punk, dallo stile sovversivo e provocatorio nato dalla contaminazione di generi e culture diverse, è da sempre un’attivista politica convinta, molto sensibile al tema dei problemi ambientali. Ricordiamo ad esempio il claim Do It Yourself (invece di comprare una cosa, usa la fantasia e creala da solo), implicito invito alla democratizzazione e alla presa di coscienza con l’intento di spronare le persone a creare una propria moda personale, i vari appelli durante i talk show televisivi a modificare lo stile di vita per ridurre le emissioni di anidride carbonica – evidenziando il problema del riscaldamento globale e dei catastrofici problemi ambientali che ne potrebbero derivare – e la sua linea di borse e accessori realizzate per l’Ethical Fashion Africa Project, in collaborazione con l’International Trade Centre e Yooxygen (sezione eco-friendly di yoox.com), presentata qualche tempo fa a Firenze.
Esiste una ricetta per una moda che funzioni dal punto di vista dello stile ma non danneggi l’ecosistema?
La cosa più eco-etica è non acquistare niente per almeno sei mesi. Senza alcun dubbio. Io non voglio incoraggiare le persone a comprare, ma il fatto è che i vestiti ci servono, così come anche le borse, ma ne serve soltanto una a stagione, non ce ne servono tre… giusto? Acquistare meno e solo cose di altissima qualità. Questa è la ricetta secondo me.
Nel 2011 ha realizzato una linea di borse per l’Ethical Fashion Africa Project, come nacque l’idea?
Ho risposto ad una richiesta di Simone Cipriani delle Nazioni Unite: è stata sua l’invenzione di quel progetto. L’idea era molto semplice: creare dei modelli per gli artigiani che lavorano in Africa. In questo modo, piuttosto che produrre manufatti solo per i turisti, potevano produrre cose vendibili in tutto il mondo, sfuggendo alla povertà e avendo un maggiore controllo sulla propria autonomia. È stato un bel lavoro in particolare per un considerevole numero di donne che hanno acquisita molta più sicurezza di quanta non ne avessero prima. Una bella idea realizzata unicamente con materiale riciclato.
Ci racconti qualcosa di quel periodo passato in Africa.
Ho visto un grande impegno da parte di varie organizzazioni al fine di acquistare energia solare per le case delle tribù. Il loro obiettivo era anche fermare la deforestazione della savana e fare in modo che non ci fosse più bisogno di bruciare la legna per cucinare: preparare da mangiare all’interno di una piccola capanna è una delle principali cause delle malattie di chi le abita. Si, davvero tanto impegno.
E il governo…?
Ritengo che sino ad oggi i governi non abbiano trovato il modo giusto per agire. Giusto due cose, molto velocemente. Una è che il gas viene estratto dallo scisto e l’acqua che viene utilizzata nel processo ha più valore del gas. Un’altra cosa è che le banche dovrebbero essere un servizio, non dovrebbero essere gestite per profitto. Dobbiamo totalmente cambiare il nostro modo di pensare. Non si può continuare semplicemente a lasciare che le persone sfruttino tutto, perché ormai c’è rimasto veramente poco da sfruttare. E chi parla di crescita, mente: è molto importante che la gente capisca che ci troviamo in una crisi finanziaria perché stiamo affrontando una crisi ecologica. È questa la ragione.
Il pericolo maggiore oggi?
Smettere di pensare. Entrare in uno stato di continua distrazione che asseconda il consumismo più sfrenato. L’antidoto? La cultura. Più leggiamo e ci interessiamo d’arte, più difficilmente saremo preda di strumentalizzazioni.
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