Rapporto Ispra 2018: che aria respiriamo?

A Torino la maglia nera per il superamento dei limiti previsti dalla normativa di settore. Positivo il trend a una riduzione delle emissioni

Può essere utile conoscere i dati che ogni anno Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra d’ora in avanti) rende pubblici attraverso il suo Rapporto sulla qualità dell’ambiente urbano? Pare proprio di sì alla luce del fatto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che ogni anno 4,3 milioni di persone, nei paesi a basso e medio reddito, muoiono a causa dell’esposizione, prevalentemente in ambienti indoor, ad inquinanti emessi nelle attività quotidiane a causa dell’utilizzo di combustibili. Altri 3,7 milioni di decessi sono attribuiti all’inquinamento outdoor. In questo caso, il fenomeno riguarda anche i paesi dell’Europa occidentale, gli Stati Uniti e l’Australia, nonostante i progressi ottenuti in queste aree del pianeta nella riduzione delle emissioni di origine industriale e da traffico veicolare.

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Guardando al nostro paese, l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha stimato che in Italia 60.200 morti premature possano essere attribuibili all’esposizione a lungo termine alle polveri sottili classificabili come PM2,5. All’esposizione al biossido di azoto invece ne possono essere attribuite 20.500.

Il Rapporto Ispra 2018

Ecco allora che conoscere la qualità dell’aria nelle nostre città può renderci consapevoli di ciò che respiriamo e dei provvedimenti necessari a tutelare la nostra salute.

L’edizione 2018 del Rapporto fa riferimento a 120 città italiane, incluse le 14 Città metropolitane.

Nel 2017, il valore limite giornaliero del PM10 è stato superato in 35 aree urbane; gran parte di queste sono localizzate al Nord, ma anche al Centro-Sud si registrano superamenti. Il maggior numero di superamenti giornalieri (118) si è avuto a Torino.

L’analisi del periodo dal 2008 al 2017 evidenzia una tendenza significativa alla riduzione sia delle concentrazioni di PM10, PM2,5 sia di quella del NO2 nelle aree urbane. La lenta riduzione dei livelli delle polveri in Italia, coerente con quanto accade in Europa nell’ultimo decennio, è il risultato della riduzione congiunta delle emissioni di particolato primario (ovvero le particelle sia grossolane che fini derivanti direttamente da processi meccanici di erosione e rottura di particelle grossolane o da processi di combustione), degli ossidi di azoto e dei principali precursori del particolato secondario (ovvero le particelle fini formate dalla conversione dei gas in particelle solide, principalmente ossidi di zolfo, ammoniaca oltre agli ossidi di azoto stessi). In particolare le emissioni di PM10 primario, sommando i contributi delle 120 città, passano da un totale di 45.403 tonnellate (Mg) nel 2005 a 36.712 tonnellate (Mg) nel 2015 con una riduzione del 19%. La principale fonte di emissione risulta il riscaldamento domestico a causa dell’incremento nell’uso di biomassa legnosa e un mancato adeguamento tecnologico verso apparecchiature più efficienti rispetto al caminetto tradizionale. Occorre, però, non cadere nell’errore di considerare le emissioni dai trasporti di secondaria importanza. Infatti i trasporti stradali costituiscono quasi il 20% delle emissioni primarie di PM10, una quota tutt’altro che trascurabile.

Quali sono le città più inquinate

Per quanto riguarda i valori medi annuali delle concentrazioni di PM2,5 registrati nelle Città metropolitane nel 2017, il valore limite annuale è superato a Torino (33 µg/m³) nell’agglomerato Milano (30 μg/m³) e a Venezia (29 μg/m³).

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Un rilevamento specifico del rapporto riguarda il biossido di azoto, un inquinante solo in parte emesso direttamente da fonti antropiche (combustioni nel settore dei trasporti, in alcuni impianti industriali, in alcuni impianti di produzione di energia elettrica, di riscaldamento civile e di incenerimento dei rifiuti) o naturali (suoli, vulcani e fenomeni temporaleschi). L’NO2 ha effetti negativi sulla salute umana (dall’irritazione oculare o la semplice tosse fino a danni agli organi respiratori e un aumento delle malattie cardiocircolatorie) e insieme all’NO contribuisce ai fenomeni di smog fotochimico, di eccessivo accrescimento degli organismi vegetali nelle acque e delle piogge acide. Per il biossido di azoto, il D. Lgs. 155/2010 stabilisce per la protezione della salute umana una dose limite oraria (200 µg/m³ di concentrazione media oraria da non superare più di 18 volte in un anno) e un valore limite annuale (40 µg/m³). Il limite orario è stato superato a Torino (25 superamenti). Il valore limite annuale di 40 µg/m³ è stato superato in 25 aree urbane e la concentrazione media più alta (80 µg/m³) è stata raggiunta a Torino.

Nel periodo 2008/2017 anche per questo elemento è stata osservata una tendenza alla riduzione delle concentrazioni. Per quanto riguarda i valori medi delle concentrazioni di NO2 registrati nelle Città metropolitane nel 2017, il valore limite annuale è stato superato in quasi tutte, con le sole eccezioni di Reggio Calabria, Messina e Cagliari.

Al Nord la maglia nera

Un altro elemento la cui presenza nell’atmosfera è stata misurata e valutata dal Rapporto Ispra è l’ozono troposferico, ossia l’ozono presente nei bassi strati dell’atmosfera che si forma attraverso processi fotochimici. L’esposizione all’ozono può portare danni gravissimi alla salute umana: un’esposizione per periodi brevi può causare infiammazioni polmonari, incremento della suscettività alle infezioni delle vie respiratorie, diminuzione della funzione polmonare; con un’esposizione per periodi a lungo termine, invece, si possono verificare danni alla struttura del tessuto polmonare, casi di mortalità prematura e cancerogenicità.  Nel 2017 sono stati registrati superamenti della soglia di allarme della presenza di questo elemento in 6 aree urbane: Varese, Lecco, Bergamo, l’agglomerato di Milano e Trapani.

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Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sono prodotti nei processi di combustione incompleta di materiali organici. Molti composti sono cancerogeni, in particolare è stato classificato come cancerogeno per l’uomo il benzo(a)pirene (B(a)P). Il valore obiettivo per il B(a)P è stato superato in 11 aree urbane; la gran parte dei superamenti sono localizzati in aree urbane del Nord, cui si aggiungono Frosinone e Terni. Il valore più elevato (2,3 ng/m3 ) e è stato registrato a Sondrio. In Italia le principali sorgenti di B(a)P sono il riscaldamento domestico, se assicurato con legna o biomassa legnosa, il trasporto su strada e le combustioni nell’industria del ferro e dell’acciaio. Il valore obiettivo, ossia il livello fissato al fine di evitare, a lungo termine, ulteriori effetti dannosi per la salute umana o per l’ambiente nel suo complesso, è di 1 ng/m³ ed è stato superato a Torino, nell’agglomerato di Milano e a Venezia.

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