Antropocene, l’epoca umana. Il docufilm che mostra le devastanti conseguenze dell’azione umana sul pianeta

Siamo entrati in una nuova era geologica: quella fotografata dal documentario Antropocene, l’epoca umana. Una visione provocatoria dell’impatto che l’attività umana ha avuto sul pianeta.

Dominiamo sugli oceani, sull’agricoltura, sul paesaggio. E lo facciamo lasciando un segno indelebile, talvolta devastante. Tanto da aver innescato mutamenti forse irreversibili sul nostro pianeta. È lo scenario mostrato con eccezionale forza visiva dal documentario Antropocene, l’epoca umana. Un film che più che da vedere è da contemplare e che ha già meritato il plauso internazionale di pubblico e critica. Incluso quello dell’Italia, che a Cinemambiente 2019 gli ha attribuito l’audience award, ovvero il premio assegnato dagli spettatori del festival.

Tra arte e scienza

Antropocene è il frutto di un sodalizio artistico, composto dai cineasti  Nicholas de Pencier e Jennifer Baichwal e  (marito e moglie) e dal celebre fotografo Edward Burtynsky, che da anni collaborano per raccontare e denunciare le conseguenze delle azioni umane sull’ambiente.

Con questo film il team chiude così una trilogia, iniziata nel 2006 con Manufactures Landscapes e proseguita nel 2013 con Watermark. Non solo. Antropocene, l’epoca umana si inserisce anche in un progetto multimediale, sia artistico che scientifico, più ampio, che include installazioni cinematografiche, murales ad alta risoluzione di Edward Burtynsky, cortometraggi VR a 360 ° e installazioni di realtà aumentata.

A farne parte è anche la mostra Anthropocene, attualmente allestita al Mast di Bologna e visitabile fino al 5 gennaio 2020.

Cos’è l’Antropocene

Secondo un nutrito gruppo di geologi e scienziati, la Terra, a partire dalla metà del XX secolo, sarebbe entrata in una nuova fase geologica, caratterizzata da cambiamenti  duraturi e talvolta irreversibili, messi in atto dagli uomini e per questo detta Antropocene  (dal greco ánthrōpos “uomo”).

Una fase critica, successiva alla precedente epoca olocenica, in cui l’uomo, da ospite e partecipante della vita sulla Terra, si è trasformato in dominatore assoluto, avviando processi  di portata così vasta da resistere e influenzare il tempo geologico.

Basti pensare agli effetti dell’estrazione mineraria e di combustibili fossili, dell’industrializzazione, dell’urbanizzazione  e dell’agricoltura intensiva, così come quelli della costruzione di dighe e della deforestazione. Attività che hanno portato all’aumento esponenziale di CO2 in atmosfera, all’acidificazione degli oceani, alla distruzione di interi ecosistemi e all’estinzione di migliaia di specie (solo negli ultimi 40 anni si parla del 60 per cento delle popolazione di animali selvatici). Tutti effetti che hanno a loro volta portato a quei cambiamenti climatici che oggi minacciano tutto il pianeta.

 

I luoghi del documentario

Per raccontare tutto questo il documentario Antropocene, l’epoca umana ha deciso di far parlare le immagini. Niente spiegazioni enciclopediche, grafici o interviste ad esperti, ma un viaggio intorno al globo, attarverso cui poter semplicemente osservare coi propri occhi gli effetti evidenti di tutto ciò.

Per 4 anni i registi hanno girato il mondo, attraversando sei continenti e 20 Paesi, con un solo obiettivo: “catturare il cambiamento in atto nel  comportamento della Terra e comunicarlo a tutti nel modo più efficace possibile”.

Per farlo hanno scelto alcuni luoghi emblematici:  dalla riserva di Ol Pejeta, in Kenia, dove i ranger tentano di preservare l’esistenza di elefanti e rinoceronti, a Norilsk in Siberia, cittadina tra le più inquinate al mondo fagocitata dall’industria dell’estrazione mineraria. Dalle cave di marmo di Carrara, al paesino di Immerath, dove le miniere di lignite dilagano, mangiandosi case, chiese ed edifici e dove gli escavatori più grandi al mondo lavorano incessantemente, modificando profondamente la superficie terrestre. Il viaggio tra le ferite del mondo ci spinge fino alle profondità oceaniche della grande barriera corallina australiana, sempre più deturpata dall’acidificazione dei mari. Mari che in Cina si tenta di arginare con enormi barriere frangiflutti in cemento, edificate sul sessanta per cento delle coste.

Le immagini più surreali e affascinanti del film arrivano dalle psichedeliche e coloratissime miniere di potassio nei monti Urali in Russia, così come dalle vasche di evaporazione del litio nel deserto di Atacama, in Cile.

L’occhio dei registi non censura nulla delle conseguenze tangibili e devastanti dell’azione umana e ci accompagna anche a Dandora, in Kenya, in una delle più grandi discariche del mondo, dove donne e uomini sono costretti a sopravvivere in condizioni disumane, rovistando e selezionando rifiuti a mani nude.

Una fotografia impietosa, ma non apocalittica del nostro tempo, che oltre a denunciare vuole svegliare le coscienze e farsi portavoce di una chiamata alle armi universale. Il pianeta è un’unica realtà e ogni habitat è interconnesso. Per questo dobbiamo poter tutti conoscere e curare ogni sua ferita, invertendo la rotta delle nostre azioni.

 

Alice Zampa

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