Cop26, ecco come si è conclusa la conferenza sul clima di Glasgow

L'accordo raggiunto è stato definito "annacquato" anche per il compromesso raggiunto nel passaggio che riguarda la fine del carbone,

La Cop26 è finita ma non esattamente come si sperava. Il Patto di Glasgow adottato all’unanimità dai 197 Paesi partecipanti alla Conferenza dell’Onu è un accordo al ribasso, o come definito “annacquato”.

 

Dopo due settimane si è conclusa a Glasgow la Cop26, la conferenza sul clima, con l’adozione del Glasgow Climate Pact, votato all’unanimità, da 197 paesi.  L’accordo è stato chiuso il 13 novembre con un colpo di scena finale: il testo è “annacquato” con un compromesso nel passaggio che riguarda la fine del carbone, perché l’India  (con l’aiuto della Cina) è riuscita a ottenere un cambiamento all’ultimo minuto. L’uscita dal carbone e lo stop ai sussidi alle fonti fossili, inserito per la prima volta nella storia delle conferenze sul clima delle Nazioni Unite, è stato infatti ridimensionato a un rallentamento.

Per comprendere la portata della modifica sul carbone, bisogna leggere attentamente il testo dell’accordo finale. Rispetto alle bozze precedenti, in cui si parlava di eliminazione (phase out) del carbone, nell’utlimo documento firmato dai 197 Paesi della Cop26 si parla di riduzione progressiva (phase down). Si tratta di una sola parola ma che  cambia sostanzialmente il senso del documento. Una vittoria per l’India, che utilizza carbone per produrre il 70 percento della propria energia, e della Cina, che abilmente, all’ultimo momento, ha lasciato il colosso indiano esporsi sul tema dell’addio al carbone.

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Greta Thunberg, in un’intervista alla BCC, ha definito i risultati della Cop26 “ancora più vaghi del solito. Sono riusciti ad annacquare il bla bla bla. Questa è una conquista. Purtroppo è finita come mi aspettavo. Ci sono tanti piccoli passi in avanti ma il documento può essere interpretato in tanti modi. E’ molto, molto vago“.

“Non c’è garanzia che raggiungeremo l’accordo di Parigi – ha chiarito Greta – il testo è interpretabile in molti modi diversi, possiamo ancora espandere l’infrastruttura dei combustibili fossili, possiamo ancora aumentare le emissioni globali. E’ davvero molto vago e, anche se possiamo aver fatto qualche piccolo progresso, dobbiamo ricordare che la crisi climatica è questione di tempo, è una crisi accumulativa, e finché facciamo piccoli passi perdiamo“.

“Capisco la profonda delusione, ma è vitale che proteggiamo questo pacchetto”, lo ha detto il presidente della Cop26, Alok Sharma, visibilmente commosso nell’annunciare l’intesa sul clima che però prevede una forte concessione sul carbone. “Sono profondamente dispiaciuto“, ha detto prima di interrompere il discorso per l’emozione.

Il premier britannico Boris Johnson ha sottolineato che “per la prima volta una conferenza ha pubblicato un mandato a ridurre l’uso del carbone“. “La conferenza – ha scandito il premier britannico – ha segnato la fine del carbone, ha suonato la campana a morto per l’energia prodotta con il carbone“. Pur parlando di un risultato “storico”, Johnson ammette tuttavia che le conclusioni sono “venate di delusione” per quanto riguarda la sostituzione del termine ‘eliminazione’ con ‘riduzione’ del carbone. Ma, sottolinea, “noi possiamo fare pressioni, possiamo blandire, incoraggiare, ma non possiamo costringere nazioni sovrane a fare quello che non vogliono fare…alla fine la decisione è la loro…purtroppo è la natura della diplomazia“.

“Abbiamo fatto progressi sui tre obiettivi che ci eravamo prefissati all’inizio della COP26 – ha dichiarato in una nota la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen – Ma non dobbiamo perdere tempo, abbiamo ancora un lavoro difficile davanti a noi”. 

Polemiche sull’adesione dell’Italia al Beyond Oil and Gas Alliance (Boga) 

L’accordo Beyond Oil and Gas Alliance (Boga) è stato lanciato da Danimarca e Costa Rica, per indurre i Paesi uscire dalla produzione di petrolio e gas, e vieterebbe di fatto nuove licenze e concessioni per esplorazioni di petrolio e gas sul suolo italiano. L’adesione piena alla Boga è arrivata da Francia, Irlanda, Svezia, Galles, Nuova Zelanda e da enti territoriali come Groenlandia, Quebec e California. L’accordo ribadisce la necessità di porre fine all’estrazione di combustibili fossili per fermare la crisi climatica. E l’Italia? L’adesione è solo a livello di ‘friend‘ e non di ‘associate member‘. La differenza potrebbe essere sostanziale perché l’impegno è senza dubbio più vago e non prevede il taglio di finanziamenti e sussidi alle aziende che investono nei combustibili fossili.

Nonostante questo molto soddisfatto è il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani che ne ha dato l’annuncio: “Sono appena uscito dalla ministeriale e ho comunicato al collega danese la nostra adesione, rispetto al programma siamo anche più avanti” – ha spiegato – “Sul phase out del carbone e sul gas abbiamo le idee chiare: abbiamo il più grande programma di rinnovabili al momento scritto che prevede 70 mld di watt in più di impianti rinnovabili nei prossimi 9 anni. Il nostro obiettivo è arrivare al 2030 al 70% di energia elettrica rinnovabile“.

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Molto critica la posizione di Europa Verde, che torna a sottolineare l’inadeguatezza di Cingolani. “Ancora parole, espedienti, rocamboleschi proclami e nessun fatto pervenuto. Mentre i membri principali si impegnano a porre fine a nuove concessioni e licenze, fissando una data allineata con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, gli ‘amici’ si limiteranno ad agevolare misure in linea con target e obiettivi nazionali di neutralità climatica” – spiegano i co-portavoce nazionali Eleonora Evi e Angelo Bonelli – “Cingolani sembra il personaggio di Nanni Moretti che chiedeva ‘Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Ah no, se si balla non vengo’. Mentre la scienza ci chiede di ballare, l’Italia resta ferma a guardare, mostrando il suo peggior profilo“.

I punti principali del Glasgow Climate Pact

L’accordo conferma l’obiettivo di limitare a 1,5 gradi centigradi il riscaldamento globale, rispetto ai livelli pre-industriali, obiettivo per il quale è necessario garantire significative riduzioni delle emissioni globali di gas serra, con emissioni zero entro il 2050.

Il documento finale chiede di “accelerare gli sforzi verso la riduzione graduale dell’energia a carbone” e di “eliminare gradualmente” i sussidi ai combustibili fossili, fornendo al contempo un sostegno mirato ai paesi più poveri e vulnerabili, in linea con i contributi nazionali, e riconoscendo “la necessità di sostegno verso una transizione giusta”. Ai paesi che sottoscrivono l’accordo viene chiesto di “rivedere e rafforzare” i loro obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030 entro la fine del 2022, “tenendo conto delle diverse circostanze nazionali”.  E ai paesi ricchi si chiede di almeno raddoppiare entro il 2025, rispetto ai livelli del 2019, i finanziamenti per sostenere l’adattamento dei paesi in via di sviluppo.

Significativa la decisione di bloccare la deforestazione entro il 2030 e di ridurre del 30% le perdite di metano, dall’estrazione ai gasdotti, dannosissime per il clima. Sui 100 miliardi annui da dare ai paesi poveri più colpiti dai danni climatici si continua purtroppo a rimandare, ma con la promessa di raddoppiare la cifra dopo il 2025. Da segnalare la novità del capitolo del “Loss and Damage” e cioè di come e quanto risarcire i paesi più poveri pesantemente colpiti da uragani, alluvioni, siccità, incendi.

Da evidenziare anche l’inaspettato accordo di collaborazione tra Cina e Usa.  Le due superpotenze, principali economie al mondo ma anche principali produttori di emissioni di gas serra, nonostante gli attriti dal punto di vista diplomatico sono arrivate ad una dichiarazione congiunta giudicata positivamente a livello internazionale. Anche se non prevede grandi impegni nella lotta al cambiamento climatico, l’accordo Usa-Cina ha dimostrato la volontà comune di voler collaborare a livello globale e di voler arrivare ad un accordo tra tutti i Paesi coinvolti nella Conferenza dell’Onu sul clima.

 

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