Inquinamento, ecco come i farmaci finiscono nei nostri fiumi. Lo studio

I risultati di un'analisi su 258 fiumi in tutto il mondo, dal Mississipi al Rio delle Amazzoni, per misurare la presenza di 61 farmaci

La prima indagine globale sull’inquinamento ambientale da farmaci: il risultato sono state concentrazioni a livelli potenzialmente tossici in più di un quarto delle località studiate.

Lo studio “Pharmaceutical Pollution of the World’s Rivers”, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Science, guidato da un team di ricercatori dell’università di York, ha  esaminato 258 fiumi in tutto il mondo, dal Mississipi al Rio delle Amazzoni, per misurare la presenza di 61 farmaci. Il risultato sono state concentrazioni a livelli potenzialmente tossici in più di un quarto delle località studiate.

“Da oltre vent’anni ormai sappiamo che i farmaci contaminano le acque del Pianeta, con un potenziale effetto negativo sugli organismi che ci vivono. – afferma John Wilkinson, uno dei coordinatori dello studio – Finora però i dati disponibili non includevano molti Paesi del mondo, e riguardavano principalmente Cina, Nord America ed Europa occidentale“.

Si tratta della prima indagine globale sull’inquinamento ambientale da farmaci. Molte sostanze farmaceutiche vengono in parte rilasciate nell’ambiente dopo il consumo. Eliminati per via urinaria o fecale, lasciano poi nelle acque reflue o nella loro forma attiva iniziale o sotto forma di sostanze derivate. Anche le acque del fiume Tevere di Roma non sono da meno: è stata rilevata una concentrazione elevata di anti-diabetici.

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La via di accesso ai fiumi dei farmaci è molto semplice: tutto il consumo dei farmaci della popolazione mondiale viene eliminato dal nostro corpo tramite feci e urine che confluiscono, se non presenti impianti fognari o di depurazione, direttamente nell’ambiente, oppure, come succede come per il Tevere, attraverso l’impianto fognario che dalle nostre case raccoglie tutte le acque reflue e le porta all’impianto di depurazione, questo ha come recettore finale un’acqua superficiale, o fiume o mare”, afferma il prof. Matteo Vitali del Dipartimento di Sanità pubblica e Malattie infettive Facoltà di Farmacia e Medicina dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza.

E aggiunge: “Dato che gli impianti di depurazione delle acque reflue non hanno come target farmaci o loro metaboliti, questi vengono in parte fermati, ma in parte passano per l’acqua reflua che si mescola con l’acqua dei fiumi. Ma questa non è una questione nuova: è dal 1995 che si dibatte questo argomento“.

Sempre secondo lo studio ci sono forti correlazioni tra lo stato socioeconomico di un Paese e il maggiore inquinamento dei prodotti farmaceutici nei suoi fiumi: dove è maggiore il consumo di farmaci, quindi dove c’è più disponibilità alla spesa, è maggiore il livello dei farmaci nei corpi idrici.

Ma quali problemi sanitari possono derivare dalla presenza di questi farmaci nelle acque dei nostri fiumi?  I problemi sono legati non tanto alla tossicità del farmaco ma ad un’esposizione cronica a piccole quantità per periodi prolungati.

“Per prevenire questo problema da molti anni le autorità sanitarie a livello internazionale e mondiale hanno introdotto nei dossier della registrazione dei medicinali uno studio obbligatorio sul destino ambientale dei farmaci e dei loro metaboliti. – spiega  il professore Vitali –  Un farmaco nuovo prima dell’immissione in commercio deve mostrare che ha una buona biodegradabilità e non tende a persistere e ad accumularsi nell’ambiente.

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Per quanto riguarda oggi, purtroppo, quello che si può fare agire sugli impianti di depurazione a livello di innovazione per trattenere questi farmaci, ma è molto complesso.

Un altro studio recente, correlato a quello dei ricercatori dell’università di York, ha anche evidenziato la presenza di farmaci e pesticidi nelle piume degli uccelli della laguna veneta. Si tratta dello studio del dottor Marco Picone, ricercatore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.  “Noi troviamo farmaci, e non solo, negli uccelli perché non tutti gli impianti di depurazione sono in grado di abbattere sensibilmente le concentrazioni di questi prodotti chimici di ultima generazione, ovvero lo scarico del depuratore contiene ancora significative concentrazioni di questi prodotti – sostiene il ricercatore – Bisognerebbe agire dal punto di vista ingegneristico per produrre sostanze che siano più biodegradabili (minor persistenza nell’ambiente) ma anche operare un continuo adeguamento degli impianti di depurazione affinché questi siano in grado di intercettare tali prodotti”.

 

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